5 conseguenze globali della guerra in Siria
AP Photo/Vadim Ghirda
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Il conflitto siriano ha avuto un impatto fuori misura sulle politiche globali. Ecco 5 esempi di come ha cambiato il mondo:

Ascesa dello Stato Islamico

Fu nell’isolamento del deteriorante conflitto siriano che un ramo poco conosciuto ma orrendamente violento di al-Qaeda divenne il gruppo terroristico maggiore del pianeta.

Nel 2014, il gruppo Stato Islamico completò la sua presa al potere di Raqqa, città orientale della Siria, e conquistò Mosul in Iraq. In seguito occupò un’area a cavallo tra i confini delle due nazioni larga quanto il Regno Unito, impadronendosi delle armi, ricchezze e risorse umane trovate sul posto. Questa crescita venne altamente sottovalutata dal governo siriano, impegnato a lottare contro l’opposizione nelle sue regioni più popolate vicino alla costa del Mediterraneo.

L’IS ha scatenato profonda ansia nella regione e nel resto del mondo, massacrando minoranze, istituzionalizzando la schiavitù sessuale, sconfiggendo gli eserciti dello stato e uccidendo i suoi avversari in raccapriccianti spettacoli di violenza. Ha distrutto siti storici, come i templi dell’antica città di Palmira e alimentato il commercio globale di antichità.

Il gruppo ha lanciato attacchi terroristici dalla Francia allo Yemen e ha stabilito una testa di ponte su una spiaggia al nord della Libia che potrebbe durare più a lungo del cosidetto “califfato” in Siria e Iraq. E fatto ancor più contradditorio, migliaia di giovani (uomini e donne) da tutt’Europa, non solo di origini musulmane, si sono riversate per partecipare.

5 conseguenze globali della guerra in Siria
Stringer/Reuters

La rinascita della Russia

Il Segretario degli Esteri britannico, Philip Hammond, ha detto di recente:

“C’è un uomo su questo pianeta che può mettere fine alla guerra civile in Siria con una telefonata e si chiama Putin”.

Il presidente russo Vladimir Putin ha stabilito un rinnovato appiglio in Medio Oriente dopo aver guardato per anni i tentativi degli Stati Uniti nella regione. Lo scorso settembre, dopo aver fornito armi, consiglieri e assistenza economica al presidente Bashar Assad, con effetti insufficienti, Putin ha mandato la sua forza aerea a colpire gli avversari del governo siriano. Il recente declino di violenze è in gran parte dettato dalla Russia. Le intenzioni della Russia sulla Siria sono ancora velate, ma chiunque comanderà in Siria prossimamente, lo dovrà a Putin.

Prima della Siria, c’era la Georgia nel 2008 e l’Ucraina nel 2014, precursori degli interventi di oggi, nei quali Putin non ha avuto paura di dimostrare quanto fosse disposto a fare pur di proteggere gli interessi della Russia. Adesso, la Russia è posizionata come maggior intermediario nella regione, con ricchezze significative di petrolio e gas. Aspettiamoci che movimenti politici di tutte le fogge chiedano alla Russia come servire i loro interessi.

La destabilizzazione dell’Europa

Quando l’Europa ha formato gli accordi dell’apertura delle frontiere alla fine del secolo scorso, non aveva previsto l’arrivo di più di un milione di migranti, la maggioranza rifugiati siriani, in un solo anno, come è accaduto nel 2015.

Migliaia sono morti cercando di attraversare il mare, presentando una sfida morale al continente. Il flusso, che continua senza sosta, ha generato sia generosità che xenofobia, facendo infine oscillare al midollo l’accordo dell’apertura delle frontiere.

Gli europei adesso stanno innalzando barriere sulla strada dei migranti nei Balcani che va dalla Grecia alla Germania, dopo aver lasciato inizialmente entrare centinaia di migliaia. In massa marciscono in condizioni squallide nel sud-est dell’Europa. Molti devono affrontare un limbo burocratico attraverso tutto il continente, in attesa che le domande di asilo vengano esaminate o risiedono senza permessi.

Gli attacchi dello Stato Islamico di novembre a Parigi, anche se causati in maggioranza da cittadini francesi e belgi, hanno scatenato ritorsioni alla sicurezza per tutta l’Europa e dato una carica ai politici nazionalisti. Echi della situazione si sentono perfino negli Stati Uniti, dove il favorito dei Repubblicani, Donald Trump, ha fatto scandalo proponendo un divieto di entrata nella nazione ai musulmani.

L’Europa ha preparato un accordo per rispedire in Turchia tutti i migranti che arrivano in Grecia, in cambio dell’ammissione di rifugiati della Siria preselezionati. Oltre alla crisi corrente, la migrazione di massa ha messo a dura prova l’unità europea.

I vicini sovvertiti

La crisi dei migranti in Europa è sovrastata dall’onda di evacuazione che è affluita negli stati limitrofi alla Siria. La Turchia, il Libano e la Giordania, ospitano da soli circa 4,4 milioni di rifugiati dalla Siria; in Libano raggiungono più di un quinto della popolazione.

I rifugiati siriani hanno portato capitale e manodopera e generato risultati economici misti nelle società ospitanti, a seconda di quali cifre vengono considerate.

Il conflitto della Siria ha anche intrappolato milizie e attori statali per tutta la regione, destabilizzando vicini fragili come il Libano e riaccendendo tensioni etniche in Turchia, dove il conflitto siriano ha generato preoccupazioni di una guerra civile con i Curdi.

L’Iran in ascesa

Il conflitto della Siria ha riequilibrato gli assi di potere regionali. La sfera di influenza sciita dell’Iran si estende adesso prevalentemente da Beirut a Teheran, con governi dipendenti a Bagdad e Damasco. Il comandante della forza speciale Quds del tanto celebrato Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica iraniana, il Gen. Qassem Soleimani, ha visitato la Russia e viene spesso visto dirigere schieramenti in Siria e Iraq. L’Iran ha milizie in entrambe le nazioni che si dice operino fuori dalle strutture del comando sovrano.

In Libano, l’Iran è potentemente rappresentato da Hezbollah, l’ibrido politico militare che ha espulso Israele dal sud della nazione nel 2000. Ha spedito migliaia di combattenti a sostenere Assad in Siria. Israele tristemente guarda allenarsi la sua nemesi con artiglieria moderna lungo i contingenti russi e iraniani, e fortificare la sua posizione lungo il confine nordico dello stato ebraico. Hezbollah sta costantemente marginalizzando gli avversari supportati dai sauditi nel governo libanese.

L’Arabia Saudita, la potenza sunnita della regione, fa fatica a mantenere il supporto ai ribelli principalmente sunniti che sostiene in Siria mentre cerca di combattere anche i ribelli sciiti sostenuti dall’Iran nello Yemen.

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