Giovedì la Cina ha accelerato la svalutazione dello yuan, facendo scivolare ai minimi i mercati asiatici.
Le contrattazioni sono state sospese per tutto il giorno, la seconda volta questa settimana.
Il meccanismo di “circuit breaker” si attiva per 15 minuti dopo un calo del 5% nell’indice di riferimento CSI 3000 (che raccoglie i 300 titoli maggiori tra Shangai e Shenzen) e dopo ferma le contrattazioni per il resto della giornata dopo una perdita del 7%. In entrambi i casi questa settimana, una prima pausa è stata seguita dalla chiusura dei mercati.
Oggi si è registrata la seduta più breve nella storia della Cina.
La banca centrale del gigante asiatico ha sopreso nuovamente i mercati svalutando la sua moneta a 6,5646 yuan per dollaro, il livello più basso da marzo 2011.
Le valute delle regioni vicine hanno subito accusato l’impatto, con il dollaro australiano che scivola ai minimi in due mesi nei confronti del corrispettivo statunitense.
L’euro invece cresce dello 0,3% e viene scambiato a 1,0816 dollari americani.
Il continuo deprezzamento dello yuan mette pressione sulle altre economie, che sono costrette a svalutare le loro valute per competere con le esportazioni cinesi.
Inoltre le materie prime risultano più costose e i rischi aumentano per le società che comprano (e si indebitano) in dollari, creando un circolo vizioso di indebolimento della domanda e maggiore pressione sui prezzi.