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Lunedì Donald Trump ha dato seguito alle sue posizioni anti-libero scambio che hanno caratterizzato così tanto la sua campagna elettorale, ritirando formalmente gli Stati Uniti dal Partenariato Trans Pacifico.

L’ex presidente USA Barack Obama aveva promosso il TPP, un ambizioso accordo commerciale tra 12 paesi, come misura per contrastare l’influenza crescente della Cina in Asia. I critici dissero che sarebbe costato diversi posti di lavoro agli Stati Uniti. L’accordo, meglio conosciuto come TPP, era già entrato in stallo al Congresso e quindi l’ordine esecutivo di Trump è stato più che altro una mossa simbolica, ma che possiede lo stesso delle implicazioni importanti riguardanti il ruolo dell’America nell’economia globale.

Ecco quattro potenziali cambiamenti di scenario dopo l’ordine esecutivo di Trump sul TPP.

Che cos’è il TTP ed è davvero finito?

Senza la leadership degli Stati Uniti nel mercato asiatico, la Cina è destinata a espandere la sua influenza

Il TTP doveva accrescere l’influenza americana in Asia e bilanciare quella cinese. In ottobre così scrivevano sul Washington Post Simon Denyer e Anna Fifield:

Per coloro che temono un vuoto di potere riempito dalla Cina, esiste un precedente. Il Congresso ha creato un altro vuoto, dicono gli esperti, non trovando un accordo sulle riforme del Fondo Monetario Internazionale al fine di dare più voce in capitolo alla Cina e altri paesi in via di sviluppo. Ciò ha fatto sì che la Cina creasse la Banca Asiatica d'Investimento per le infrastrutture, entrata in azione lo scorso anno, che ha lasciato poche altre opzioni alternative agli alleati più vicini di Washington, tra cui Australia e Gran Bretagna, oltre a seguire Pechino e unirvisi. La cosa non è passata inosservata tra gli osservatori di politica estera a Washington. Ad agosto, otto ex funzionari repubblicani agli esteri e alla sicurezza hanno lanciato un avvertimento su Foreign Policy, dicendo che un fallimento nella ratifica dell’accordo avrebbe “ceduto alla Cina il compito di definire le regole del commercio nella regione asiatica e che sarebbe un duro colpo alla posizione e all’economia degli Stati Uniti”.

L’alternativa al TPP potrebbe svantaggiare le imprese statunitensi

La Cina da parte sua ha negoziato attivamente un’alternativa al TTP, la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) e quest’ultima parrebbe non avere condizioni così favorevoli nei confronti degli Stati Uniti. Così Simon Denyer sul Washington Post a novembre:

La RCEP implicherebbe standard molto più bassi per il governo, per i diritti dei lavoratori e per la protezione della proprietà intellettuale rispetto al TPP e non comprende gli Stati Uniti, cosa che potenzialmente li pone in uno stato di svantaggio competitivo in Asia. “Non ci sono dubbi che ci sarebbe una svolta verso la Regional Comprehensive Economic Partnership se il TPP non andrà in porto,” ha detto il primo ministro Shinzo Abe, secondo quanto riferito dall’agenzia Kyodo.

I ritiro degli Stati Uniti potrebbe alterare i rapporti con i suoi partner commerciali

Paesi che dipendono dal commercio come il Perù potrebbe innervosirsi e cominciare a guardare sempre di più verso la Cina come principale partner commerciale.

Il Perù ha da tempo abbracciato orgogliosamente il libero scambio. È stato tra i promotori più entusiasti del TPP ora in stallo e ha firmato più di una dozzina di accordi bilaterali con Unione europea, Cina e Giappone tra gli altri, che hanno reso la sua economia tra le migliori del Sud America per performance. Uno dei pilastri di quella crescita è stato l’accordo commerciale con Washington.

Da quanto l'accordo è entrato in circolo nel 2009, il commercio tra i due stati è balzato da appena 9 miliardi di dollari nel 2010 a quasi 14 miliardi di dollari nel 2015, contribuendo a far uscire milioni di peruviani dalla povertà e ridefinendo il Perù come una nazione con redditi medio alti.

Dall’altra parte gli americani hanno tratto beneficio dall’accesso ai beni peruviani, dai carciofi organici alla quinoa a ora, argento e altri metalli trovati nelle miniere nelle Ande.

Eppure questi guadagni potrebbero essere a rischio se il Trump rinegozierà il suo trattato bilaterale con Lima.

Il ritiro dal TPP potrebbe essere un segno di quello che succederà al NAFTA

Trump ha giurato di rinegoziare il North America Free Trade Agreement (NAFTA), una promessa fatta in campagna elettorale spesso affiancata al ritiro dal TPP. Secondo Alan Freeman del Washington Post, le modifiche al Nafta colpirebbero il commercio sia con il Messico che con il Canada:

“Finora i tweet protezionisti di Trump hanno puntato principalmente in direzione delle case automobilistiche che trasferiscono al produzione dagli Stati Uniti in Messico, anche se negli ultimi giorni ha minacciato i produttori di macchine tedeschi di applicare una tassa di importazione del 35% se non costruiranno più macchine negli Stati Uniti. Il Canada è stato risparmiato al momento. Ironicamente Trump quando questo mese ha attaccato Toyota per aver costruito una nuova fabbrica in Messico, non ha detto che la produzione delle sue Corolla saranno trasferite da una fabbrica Toyota in Ontario, con nessun impatto sui posti di lavoro negli USA.”

Tutti contro tutti: Trump, aziende e azionisti

Kristin Dziczek, direttrice del gruppo studi su industria, lavoro ed economia al Center for Automotive Research di Ann Arbor, Michigan, ha detto che il Canada non è mai stato uno degli obiettivi principali degli elettori di Trump in Michigan, Ohio e Pennsylvania.

“Non ci sono molti lavoratori delle fabbriche automobilistiche arrabbiati nei confronti dei canadesi. Non sono sicura che un messaggio anti-Canada possa avere risonanza”.

Eppure il Canada resta vulnerabile. Solo il 12% delle macchine assemblate in Canada sono vendute nel mercato interno: la grande maggioranza sono spedite al suo vicino a sud.

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