L’Europa deve aiutare l’Italia sui migranti
Giorgio Perottino/Reuters
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18 maggio 2016

L’Unione europea non può abbandonare a se stessa l’Italia sui migranti, scrive Stefano Stefanini, membro dell’Atlantic Council ed ex Rappresentante Permanente d'Italia presso la NATO.

Col giungere dell’estate, la piccola isola di Lampedusa si prepara a un’altra impennata di immigrazione illegale dalla Libia. Uno sguardo veloce alla cartina geografica vi dirà perché è diventata il porto d’arrivo per i migranti che sperano di raggiungere le coste europee.

Attraversano il Sahara in condizioni orribili e sfidano la sorte su barconi fatiscenti sul Mediterraneo. Sono disperati. Lampedusa, un puntino nel blu, a sud-ovest di Malta, è il pezzettino di terra Ue più vicino alla costa libica: se ce la fai ad arrivare a Lampedusa, sei in Europa.

La geografia è inesorabile. La situazione turbolenta della Libia ha reso il paese un corridoio per l’immigrazione africana e Lampedusa è il suo approdo europeo. L’Italia non può isolarsi dalla Libia.

La marina militare e la guardia costiera italiane hanno salvato le vite dei migranti a lungo; più recentemente l’Ue si è unita attraverso L'operazione Sophia. Eppure circa 3.000 persone sono morte nelle acque tra l’Africa e la Sicilia. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, la rotta migratoria di Lampedusa è stata la più letale nel 2015.Per anni l’Italia ha fatto i conti da sola con questa sfida. Nel 2015, appena oltre 150.000 persone sono arrivate sulle coste italiane. Quest’anno potrebbe stabilire nuovi record: le autorità italiane hanno stimato che gli arrivi potrebbero raggiungere quota 270.000 ai ritmi attuali. Con oltre 100.000 migranti ospitati in Italia, le risorse del paese sono già ristrette.

L’Europa deve aiutare l’Italia sui migranti
REUTERS/Yannis Behrakis

Il Ministro dell’Interno italiano Angelino Alfano ha suggerito lo scorso mese che “quando le condizioni lo permetteranno”, l’accordo Ue-Turchia potrebbe essere “replicato con la Libia”. L’idea era stata scartata all’istante dalla presidenza Ue:

“I Paesi che stanno di fronte all'Italia non sono come la Turchia”, ha detto il Ministro dell’Interno olandese Klaas DijKhoff.

Potrà essere vero, ma Alfano ci ha visto giusto. Come la Grecia, l’Italia non può affrontare l'immigrazione di massa permanente da sola.

Il modello turco non è di grande aiuto. La Turchia è un membro NATO e candidata a entrare nell’Ue. Nel migliore dei casi riguardo il processo di stabilizzazione della Libia, ci vorranno anni affinché il governo di Fayex al-Sarraj sostenuto da una coalizione internazionale sia in controllo del suo territorio e instauri nuovamente uno stato funzionante dove i migranti potrebbe essere fatti “ritornare”. La prospettiva di qualsiasi accordo sull’immigrazione, lasciando stare uno scambio come quello avvenuto con la Turchia, è una possibilità a medio-lungo termine nel caso della Libia, volendo essere ottimisti.

Né i migranti che viaggiano attraverso la Libia possono essere paragonati a quelli che arrivano in Turchia. L’esodo attraverso la Turchia è parte di un’ondata più grande di rifugiati che scappano dagli orrori della guerra civile siriana e da altre zone del Medio Oriente devastate dal conflitto.

Gli stessi fattori hanno spinto i rifugiati in Libano e Giordania e rimosso milioni di persone dentro la Siria. Nel 2015 siriani, afghani, iracheni e pachistani erano di gran lunga le nazionalità principali dei richiedenti asilo nell’Ue. In genere viaggiavano attraverso la Turchia per raggiungere il suolo europeo in Grecia.

La gran parte migranti che arrivano attraversando la Libia è invece di origine africana: molti di loro provengono da Eritrea, Nigeria, Somalia, Sudan e Gambia. Meno di 7.000 siriani sono giunti in Italia dalla Libia nel 2015. Anche se ci sono dei richiedenti asilo legittimi tra i migranti africani - l’asilo è stato garantito, per esempio, a un certo numero di eritrei - la rotta Libia-Lampedusa porta con sé migranti “economici” per lo più, invece di rifugiati. Stando così le cose, la maggior parte di loro non può avanzare diritti per stare in Europa. Possono essere rimpatriati, ma dove? Certamente non in Libia.

In pochi, alla fine, vengono rispediti indietro. E quando restano, si uniscono alle masse migranti illegali che vagano dentro un’Europa senza confini, ma sempre più divisa.

Differenze nello status di rifugiato

Effetto spillover

Con la chiusura della rotta dei Balcani, i migranti vengo dirottati verso l’Adriatico e lo Ionio per raggiungere l’Ue. Il traffico di esseri umani non è nient’altro che un modello d’affari flessibile. Con 4 miliardi di euro di profitti stimati che vengono reinvestiti in attività illecite, tra cui traffico di armi e finanziamento del terrorismo, i trafficanti non molleranno la presa facilmente.

In aprile, mentre gli arrivi in Grecia sono diminuiti drasticamente del 90% (a 2.700), il triplo del migranti hanno raggiunto l’Italia (8.370).

La guardia costiera italiana ha salvato 900 rifugiati siriani e iracheni arrivati dall’Egitto su un barcone, a prova dell’effetto spillover dalla rotta dei Balcani. Come nel caso della Grecia, non ci si può aspettare che l’Italia possa portare tutto il peso sulle sue spalle - che si tratti di rifugiati o migranti economici.

La contestata convenzione di Dublino rende il paese d’arrivo di un migrante il responsabile esclusivo del processo di richiesta d’asilo. Questa politica deve essere revisionata. Il controllo dei richiedenti asilo dovrebbe essere affidato alle autorità europee invece che a quelle nazionali, e l’asilo dovrebbe essere diviso equamente tra i membri dell’Ue. La Commissione europea ha compiuto dei passi nella giusta direzione, ma non è andata molto lontano.

La migrazione economica, d’altra parte, dovrebbe essere affrontata con un grande sistema di rimpatrio verso i paesi d’origine su larga scala. Per progettare e applicare un programma simile ci vorranno diplomazia, influenza e risorse. L’Ue ha i mezzi per mettere insieme insieme tutto questo, come come con la Turchia. I paesi africani non meritano un impegno minore.

Tovare una soluzione civile sarà costoso, ma meno che continuare semplicemente a procedere alla meno peggio. Una politica concreta manderà un mercato rassicurante all’opinione pubblica tesa. Senza, i governi europei in preda alla preoccupazioni non hanno altra scelta che gingillarsi con i controlli alle frontiere.

Sia la rotta Turchia-Balcani che l’autostrada libica sono conseguenze, non cause, del conflitto. Sul fronte turco, possiamo puntare il dito alla crisi siriana e alla minaccia terroristica dello Stato Islamico; sulle coste meridionali del Mar Mediterraneo, l’assenza di legge e la lotta tra fazioni in Libia.

La nuova guerra americana in Libia

Il ruolo di Ue e NATO

Stabilizzare la Libia deve diventare una priorità per Ue e NATO. La presenza dell’Isis sulle cose libiche pone una minaccia alla sicurezza sia dell’Europa che dei paesi confinanti come la Tunisia. Sul fronte militare, le milizie libiche stanno incrementando gli sforzi contro la base dell’Isis a Sirte. Gli USA e gli alleati occidentali hanno fatto affidamento sulle forze speciali per supportare l’offensiva.

Dal punto di vista politico, è imperativo offire pieno supporto al governo riconosciuto internazionalmente di al-Serraj government a Tripoli e incoraggiarlo a rafforzare il consenso attraverso una riconciliazione nazionale. Un incontro recente a Vienna, condotto dal Segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry e dal Ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, ha compiuto un passo nella direzione giusta.

A Fayez al-Serraj è stato promesso supporto internazionale, addestrando le forze di sicurezza libiche e revocando l’embargo delle armi. Il meeting includeva anche i vicini della Libia nella regione — Egitto, Tunisia, Niger, Chad e Sudan — la cui sicurezza è in pericolo allo stesso modo: se la Libia rimane uno state fallito, Boko Haram potrebbe unire le forze con l’Isis sulla costa.

Su mare, l’Operazione Sophia dell’Ue ha un “mandato coercitivo” per distruggere le rotte dei trafficanti e i loro mezzi. È stata criticata, dalla House of Lords britannica in tempi più recenti, per non aver fatto abbastanza contro i traffici. In effetti potenziale dell’Ue per “identificare, catturare ed eliminare” le imbarcazioni dei trafficanti non viene ancora sfruttato. La NATO dovrebbe estendere la sua attività di pattugliamento dell’Egeo al Mediterraneo occidentale.

Potrebbe farlo facilmente adattando la sua Operazione Active Endeavour di lungo corso a un “piano della situazione marittima” nel contesto del Mediterraneo, includendo il traffico di esseri umani così come il controterrorismo.

Anche se l’accordo Ue-Turchia è ancora pieno di difficoltà, ha mandato comunque un messaggio molto chiaro. L’Ue si presa piena responsabilità di un problema che uno dei suoi membri, la Grecia, non poteva gestire da solo.

Nel prendersi la responsabilità, l’Ue ha anche rassicurato i paesi balcanici vicini, specialmente la Macedonia, e gli altri argini sotto controllo europeo. Se la rotta dei balcani viene chiusa completamente, l’Ungheria, l’Austria, la Croazia e la Slovenia non avranno più bisogno di innalzare muri.

La rotta di Lampedusa opera sotto circostanze diverse - trasporta per lo più un tipo diverso di migranti - eppure non merita un minore impegno della tratta dei Balcani. Forse, ne ha bisogno di uno più grande. La situazione libica implica preoccupazioni più ampie riguardo al sicurezza della regione e influenza una fonte significativa di scorte di energia europee.

La morale è che l’immigrazione è un problema dell’Ue. Le sue strade portano all’Europa. L’Unione europea si deve prendere la responsabilità di tutti i flussi in entrata, che siano dal Canale di Sicilia, dalle isole dell’Egeo o da qualsiasi altra parte.

Fonte: Politico

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