Business Insider ha deciso di scoprire come cambierebbero i listini dei prezzi, se i beni che vengono prodotti in Asia fossero realizzati negli Stati Uniti.
Il presidente eletto Donald Trump ha dichiarato di voler “emettere una notifica riguardante l’intenzione di ritirarsi dal Partenariato Trans-Pacifico, un disastro per l’America”. Gli accordi di libero scambio come il TPP e il North American Free Trade Agreement (NAFTA) hanno avuto un ruolo di primo piano nel messaggio elettorale di Trump. Sebbene il TPP non sia ancora in vigore, Trump ha sempre accusato il NAFTA e altri accordi commerciali di trasferire troppi posti di lavoro oltreoceano e di danneggiare l’economia statunitense.
Sebbene vi sia un ampio consenso per il miglioramento della potenza manifatturiera americana complessiva, i beni prodotti negli USA sono inevitabilmente più costosi rispetto a quelli creati in paesi in cui la manodopera è più economica, come Cina, Vietnam e Messico. Se la produzione di articoli popolari come gli iPhone e le sneaker venisse effettuata a livello nazionale piuttosto che all’estero, i loro prezzi aumenterebbero notevolmente.
iPhone
Durante la sua campagna elettorale, Trump ha affermato che la sua amministrazione avrebbe potenzialmente permesso ad Apple (NASDAQ: Apple [AAPL]) di produrre i suoi computer e dispositivi in America, invece che in altri paesi. La scorsa settimana, Nikkei Asian Review ha riportato che Foxconn, l’assemblatore di Apple, ha davvero analizzato la possibilità di trasferire la produzione di iPhone negli USA. Tuttavia, una fonte ha comunicato a Nikkei che, se ciò accadesse, il costo di un iPhone “ammonterebbe a più del doppio”.
Marketplace ha effettuato una valutazione riguardo al costo ipotetico di un iPhone prodotto in America, da cui è risultata una stima simile. Se tutti i componenti venissero realizzati in America, si legge, ciò potrebbe far levitare i costi fino a 600 dollari e il telefono potrebbe venire venduto anche a 2000 dollari.
Secondo un’analisi diversa pubblicata su MIT Technology Review, se l’assemblaggio degli iPhone venisse effettuato in America, ma i componenti continuassero a venire importati dall’estero, il costo della realizzazione dei telefoni (attualmente stimato sui 230 dollari) aumenterebbe di circa il 5%. Tuttavia, se i componenti venissero prodotti negli USA (con materie prime acquistate sul mercato globale), si andrebbero ad aggiungere altri 30 o 40 dollari ai costi di realizzazione del dispositivo, un aumento che si tradurrebbe in un ricarico sul prezzo al dettaglio.
Dan Panzica, analista capo presso l’Outsourced Manufacturing Intelligence Service di IHS Markit Technology, sostiene che queste stime ignorino un problema ancora più grande:
“Ciò che la gente non tiene in considerazione riguardo al portare in America un prodotto ad alto volume come qualsiasi telefono è: dove si prendono le persone?”
Panzica, che ha lavorato presso Foxconn, stima che la forza lavoro cinese necessaria per la produzione di componenti e l’assemblaggio dei telefoni ammonti ad oltre 150.000 unità.
“Se si prendono tutte le persone di GE, GM e Ford, queste sono comunque il 20% in meno rispetto a quelle presenti nelle fabbriche di Foxconn”, afferma. “Quale città potrebbe sostenere una fabbrica di 60.000 persone?”.
Inoltre, aggiunge Panzica, le infrastrutture per questo genere di componenti non sono mai state presenti in America, quindi l’idea di riportarle implicherebbe in realtà il costruire da zero l’intera rete manifatturiera che si è sviluppata in Asia negli ultimi decenni. “Ricostruire questo tipo di infrastruttura negli USA sarà davvero complicato”, dichiara.
Jeans
Panzica sostiene che i costi per il vestiario aumenterebbero ancora di più di quelli dei dispositivi elettronici, se venissero realizzati negli USA. Per un dispositivo come l’iPhone, afferma, la maggior parte dei costi risiede nei materiali da usare. Tuttavia, i materiali per camicie e pantaloni sono economici – è la manodopera a costituire una grossa porzione dei costi di produzione.
È per questo che le aziende di abbigliamento hanno spostato la manifattura oltreoceano, afferma.
“Se date un’occhiata alle tariffe per la manodopera in alcune delle zone più economiche, nel Vietnam ammontano a 2,50 dollari all’ora, mentre nel Bangladesh a 1,80 dollari”
In confronto, gli analisti di IHS calcolano che le tariffe per la manodopera negli USA ammontino a 25-30 dollari all’ora (cifre che tengono in considerazione i costi escludendo lo stipendio dei dipendenti). Quindi, anche se vi è sempre un’ora di lavoro dietro a una camicia o a una blusa per uomo, si parla di una differenza di 25 dollari per pezzo” afferma a proposito dei costi di produzione.
Televisioni
Durante la sua campagna presidenziale, Donald Trump ha affermato in una dichiarazione che gli USA non producono più televisioni. “Vorremmo farlo. Lo facevamo. Ricorderete Sylvania e RCA. Ma quei giorni sono finiti”.
Politifact ha verificato questa affermazione e l’ha trovata fondata. Tutti i dispositivi elettronici che entrano negli USA, riporta, provengono dall’Asia.
Panzica afferma che le dimensioni e i costi di spedizione delle tv si prestano al nearshoring, una pratica tramite la quale una società esternalizza la produzione a una struttura più vicina al suo paese d’origine. “In Messico si assemblano diverse televisioni”, dichiara.
Alcune società, tuttavia, assemblano almeno i componenti negli USA. La più grande e famosa è Element Electronics, le cui televisioni vengono vendute in negozi come Walmart e Target. Le tv di Element sono tra le opzioni più economiche sul mercato, nonostante vengano assemblate a Winnsboro, in Carolina del sud. Una smart tv ultra hd da 42 pollici viene attualmente venduta a 329 dollari presso Target, che è paragonabile al prezzo di un modello simile Westinghouse (299 dollari, scontato rispetto al prezzo originale di 449 dollari). E una tv Element da 32 pollici costa 129 dollari (in sconto rispetto a 179 dollari), con un prezzo non molto differente rispetto a quello del famoso marchio cinese low-cost TCL, la cui smart tv Roku da 32 pollici viene venduta per 169 dollari.
Sneakers
Una grande percentuale di calzature viene prodotta in paesi asiatici inclusi nel TPP e circa il 97-99% delle calzature sportive vendute negli USA vengono realizzate in altri paesi, secondo il gruppo Footwear Distributors and Retailers of America.
Il TPP avrebbe ridotto o eliminato tariffe per scarpe importate dal Vietnam e da altri paesi e ciò avrebbe diminuito il costo generale delle sneakers negli USA. Aziende come Adidas e Nike, che possiede 26 fabbriche in Vietnam, supportano il partenariato commerciale. New Balance, invece, vi si oppone. Sul suo sito, l’azienda si vanta del fatto di produrre o assemblare 4 milioni di paia di calzature sportive negli USA ogni anno. New Balance etichetta le sue paia prodotte in America per i consumatori e ciò rende evidente la differenza di prezzo tra queste scarpe e quelle prodotte all’estero. Le scarpe New Balance hanno un prezzo che varia dai 65 fino ai 399 dollari, ma le paia prodotte in America partono da 165 e arrivano fino a 399 dollari (le scarpe più costose sono infatti quelle prodotte negli USA). Ciò significa che nessuna delle paia economiche viene realizzata in America.
Un confronto simile si nota anche nelle scarpe Reebok. L’azienda possiede una linea Postal Express, prodotta in America e destinata specificatamente per soddisfare le necessità dei lavoratori postali. Tuttavia, il loro costo varia da 167 a 230 dollari, mentre le calzature sportive normali Reebok costano tra gli 80 e i 165 dollari.
Pannelli solari
Molti ambientalisti si sono opposti al TPP per timore che possa incrementare le esportazioni di combustibili fossili e incoraggiare ulteriori estrazioni di carbone, petrolio e gas, portando a un aumento delle emissioni. Tuttavia, altri analisti degli scambi commerciali hanno suggerito che gli accordi di libero scambio possano in realtà rendere l’energia rinnovabile più accessibile.
“Nello specifico, il TPP ha fatto qualcosa per il clima – ha ridotto notevolmente le tariffe per quel che riguarda l’accesso alle tecnologie climatiche” afferma Joshua Meltzer, membro del programma Global Economy and Development presso Brookings Institution.
“Senza il TPP, questo non sarebbe possibile… la lotta ai cambiamenti climatici sarebbe un po’ più costosa”.
Nel caso dei pannelli solari, quelli prodotti a livello nazionale sono notevolmente più costosi rispetto a quelli realizzati all’estero. Un pannello singolo da 330 watt della Canadian Solar (NASDAQ: CSIQ) – che produce molti dei suoi pannelli in Cina e Vietnam – costa 69 centesimi a watt. SolarWorld, uno dei principali produttori di pannelli solari americani, vende un pannello singolo simile da 300 watt per 85 centesimi a watt. Considerando che una casa tipica utilizzi 7.000 watt di energia solare, ciò si traduce in una differenza di prezzo di 1.120 dollari.
Suniva, un’azienda di pannelli solari situata ad Atlanta vende un pannello singolo da 300 watt simile per 1 dollaro a watt, che crea una differenza di prezzo ancora maggiore.
Meltzer suggerisce che i futuri accordi commerciali potrebbero andare oltre, riducendo i costi sui prodotti e servizi ecologici o persino creando delle sovvenzioni per promuovere risultati che siano vantaggiosi per il clima.
“Non c’è mai nulla di sbagliato nel rivalutare diversi approcci allo scambio. Non voglio dire che abbiamo sempre avuto ragione o che non ci siano miglioramenti da potere fare”, dichiara, ma aggiunge che l’impegno di Trump di sconvolgere il libero scambio potrebbe avere conseguenze gravi e negative.
“Sarebbe molto costoso per gli USA intraprendere questa strada”.