Parlare una seconda lingua può far perdere fluidità nella lingua madre?
Da un paio di giorni ero tornato da un’esperienza di studio all’estero, a Città del Messico, quando chiesi a mio padre:
- “Posso usare la lavadora?”
- “La cosa?”
Non parlava spagnolo. Ovviamente lo sapevo. Nemmeno io potevo dire di parlare davvero lo spagnolo. Fui a malapena capace di sostenere una conversazione per gran parte dei sei mesi che avevo appena finito di trascorrere in Messico. E allora, per quale motivo quando dovevo fare il bucato, l’unica parola che mi veniva in mente era in spagnolo?
- “Sai, la… uhm... quella cosa che lava i vestiti?” Pensai: ma cosa mi sta succedendo?
Come è possibile che stia dimenticando l’inglese? Pensavo di conoscerlo perfettamente!
- “Intendi dire la lavatrice?”
- “Sì, quella!” risposi, sollevato nel riconoscere un termine che avevo padroneggiato e usato per più di vent’anni. La prima volta che accadde, la temporanea afasia mi mandò fuori di testa. Ma nei quasi dieci anni trascorsi da quella conversazione – nel corso dei quali tornai a Città del Messico prima come dottorando e poi come giornalista – mi ci sono abituato. Mi dimentico di questa o di quella parola in inglese almeno una volta al giorno. Oggi parlo fluentemente lo spagnolo, e ne vado fiero. Ma il parlare una seconda lingua in qualche modo mi ha reso meno fluente nella mia lingua madre?
Judith Kroll la pensa così. È una psicologa che studia il bilinguismo e le sue conseguenze cognitive presso la Pennsylvania State University. “I due idiomi di un bilingue talvolta convergono, ma spesso competono tra di loro,” ha dichiarato questo weekend nel corso di una presentazione al meeting della American Association for the Advancement of Science svoltosi a Washington, DC. Quando parlo spagnolo, il salto cognitivo non è esente da sforzi. Il mio cervello deve scegliere attivamente lo spagnolo ogni volta che pronuncio una parola o costruisco una frase. Anche dopo anni e anni trascorsi a parlare ogni giorno lo spagnolo, spesso percepisco il verificarsi di questo processo. È stancante, e tornare all’inglese può essere un sollievo.
Ma facendo questo, il mio cervello continua a ripetere lo stesso lavoro di prima, sostiene la Kroll. Con la differenza che ora sto scegliendo l’inglese al posto dello spagnolo. Quest’ultimo idioma è sempre lì, nel mio cervello, e mi obbliga a compiere un piccolo sforzo aggiuntivo per trovare i termini in inglese, nonostante li conosca da molto più tempo rispetto ai loro equivalenti in spagnolo.
“Soprattutto negli ambienti immersivi è difficile attingere alla lingua madre. Potreste affrontare dei momenti di panico.”
Ma se siete davvero intenzionati ad apprendere una seconda lingua, non dovete cercare di sfuggire a quel panico. Dovreste invece farvi affidamento. “La lingua madre potrebbe soffrire durante l’apprendimento dell’idioma straniero,” afferma la Kroll. “Ma potrebbe trattarsi di un processo fondamentale per apprendere in che modo gestire il proprio linguaggio”. I risultati preliminari raccolti dal suo laboratorio suggeriscono che “gli studenti che sono in grado di incassare meglio questi colpi inferti alla propria lingua madre, affrontandone le ripercussioni iniziali, potrebbero essere in grado di imparare meglio la seconda lingua,” sostiene.
In più, il dover prendere una decisione per ogni parola pronunciata può essere considerato come una sorta di allenamento per il cervello.
Ogni volta che scelgo “lavatrice” invece di “lavadora,” o viceversa, il mio cervello diventa un po’ più forte. La Kroll ritiene che questa costante sfida a livello cognitivo affrontata dai bilingui potrebbe essere responsabile di un miglioramento percepibile in quella che viene definita come funzione esecutiva, ovvero l’abilità di escludere le informazioni non necessarie e di prendere decisioni.
Altri ricercatori mettono in dubbio il fatto che il bilinguismo possa avere effetti di qualsiasi sorta sulla funzione esecutiva, citando però campioni di piccole dimensioni e l’impossibilità di riprodurre molti risultati positivi.
Naturalmente qualsiasi persona bilingue vi dirà che qualche volta non si prende nemmeno la briga di compiere una scelta. Quando mi capita di parlare con altre persone che conoscono sia l’inglese che lo spagnolo, spesso mescolo le due lingue, dicendo cose del tipo, “Quieres un toast?” e “Volevo aprovechar una vacanza e viajar un po’.” Se volessi massimizzare i benefici cognitivi del parlare due lingue, dovrei smettere di mescolarle e obbligare il mio cervello a sforzarsi tutte le volte che apro bocca? Per farla breve: no. “Negli anni Ottanta, le persone sostenevano che il mix di idiomi era patologico,” afferma la Kroll. “Ma in realtà si tratta di una componente normale e fisiologica dell’esperienza bilingue.” In più, non è che il mio cervello si rilassi. Ogni parola è sempre frutto della scelta tra due lingue, solo che ogni volta l’esito cambia.
Dal giorno in cui arrivai a Città del Messico fu ovvio che il mio inglese avrebbe sempre influenzato il mio spagnolo – nell’accento, nel vocabolario, negli imbarazzanti errori causati dai false friends. Ma una volta chiarita la questione lavadora, imparare lo spagnolo rimodellò anche il modo in cui parlavo l’inglese. Non dispongo di due menti monolingue che agiscono separatamente nella stessa testa: possiedo invece un cervello bilingue. Incasinato? Sì. Sconcertante? Talvolta. Cognitivamente forte? Lo spero.