Il ruolo del carry trade nella crisi finanziaria
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In una strategia carry trade si prende in prestito del denaro in paesi con tassi di interesse bassi, come il Giappone, e dopo lo si converte in valute di paesi con tassi di interesse alti, come il Brasile, generalmente tramite l’acquisto bond. Così facendo l’operatore realizza un profitto sulla differenza tra le due valute.

La crescita di questa pratica finanziaria è stata una delle conseguenza dell’espansione della globalizzazione che ha permesso i flussi liberi di capitale tra paesi e la formazione di contratti finanziari capaci di abbracciare più nazioni contemporaneamente.

Negli anni precedenti il 2007, lo yen si deprezzò significativamente a causa delle fuoriuscite di capitale dal Giappone, il che ridusse il valore dei debito delle istituzioni finanziarie verso le banche giapponesi. Investendo denaro in altri paesi con alti tassi di interesse i trader furono in grado di ottenere dei ritorni eccezionalmente alti grazie al carry trade.

Anche oggi i trader sono famosi per sfruttare i differenziali tra i tassi di paesi diversi, cosa che ha in parte provocato l’apprezzamento del dollaro contro le valute dei mercati in via di sviluppo.

Il carry trade e la crisi finanziaria

Inizialmente la strategia carry trade all’inizio era fortemente redditizia, ma il suo successo spesso dipendeva dai movimenti dei tassi di cambio delle valute. Fin quando lo yen si deprezzava, gli investitori realizzavano ritorni enormi. Per questo motivo il crollo della strategia carry trade intensificò l’impatto della crisi finanziaria nei mercati emergenti.

La strategia carry trade smise di funzionare dopo i bailout di istituzioni come Bear Stearns e il collasso Lehman Brothers nel 2008. Lehman Brothers potè dichiarare bancarotta senza la piena protezione dei suoi creditori o delle persone con cui aveva stipulato dei contratti finanziari. Questo provocò un’ondata di panico nel sistema su scala globale. La fiducia degli investitori andò a picco e le istituzioni finanziarie in Giappone non furono più disposte a prestare denaro per operazioni di carry trade.

Smisero di fornire credito tanto ai trader locali che a quelli stranieri, con il risultato che il valore dello yen aumentò drasticamente a causa dell’interruzione di fuoriuscite di capitale. A questo si aggiunge che tutti debiti dei fondi hedge nei confronti delle istituzioni giapponesi acquistarono un valore molto più alto, grazie all’apprezzamento dello yen, deteriorando così la capacità di essere ripagati da parte dei fondi stessi.

Cosa è successo?

C’è stata un’ondata di default e problemi finanziari in paesi come Islanda e Brasile, che erano sull’orlo dello stato di insolvenza a causa delle perdite enormi subite dai loro prestiti. In ogni caso i trader furono costretti a ritirare il denaro dai paesi che inizialmente avevano tassi di interessi alti, come Brasile e Islanda, per ripagare una parte dei loro debiti, provocando così un forte indebolimento del valore delle loro valute.

Questa era già di per sé una crisi ma fu resa ancora peggiore dal fatto che i fondi hedge, che avevano preso in prestito denaro in una valuta e poi lo avevano cambiato in un’altra, ora pativano perdite enormi. Questi effetti suggeriscono che la strategia carry trade era in parte responsabile di aver reso la crisi finanziaria del 2007 un evento di portata internazionale, invece che qualcosa di confinato alle banche USA.

La reazione alle fughe di capitali

I governi e le banche centrali da allora hanno implementato controlli sui capitali per ridurre le fuoriuscite di capitale a breve termine. Questo può provocare una drastica riduzione del valore delle valute, dopo un shock economico dall’esterno, che può avere un impatto anche sul sentiment del mercato.

L’Islanda, per esempio, ha introdotto controllo per impedire la liquidazione di investitori che hanno costruito grosse posizioni in asset islandesi, limitando così la conversione in valuta straniera e l’eventuale fuga di capitale.

A un certo punto anche le persone che lasciavano l’Islanda per andare in vacanza o studiare all’estero dovevano presentare dei documenti alle banche e subire dei controlli stretti prima di poter convertire la corona islandese in una moneta straniera. Nonostante la maggior parte dei controlli sul capitale siano stati allentati per rendere le cose più facili alle persone, le banche islandesi non possono ancora muovere liberamente il capitale fuori dal paese.

Il caso della Cina

Anche se non sono strettamente legati alle pratiche di carry trade, il controllo sui capitali in Cina hanno contribuito a interrompere i prelievi di grandi somme di denaro dalla nazione quando crollano le attese del mercato sui tassi di interesse e sulla crescita economica. I cittadini cinesi possono cambiare fino a un massimo di 50.000 dollari l’anno.

Ad ogni modo molti uomini d’affari si servono di metodi illeciti per trasferire valute fuori dal paese e il cambio illegale di denaro ora sta diventando una specie di “economia ombra” dentro e attorno la Cina. Questo è un altro esempio che mostra che anche se le autorità possono provare a impedire la fuga di capitale e il carry trade, i risultati desiderati non sono sempre garantiti.

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