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Vanno rafforzandosi le voci di scherno nei confronti di Nike.

Lunedì gli analisti di Bank of America Merrill Lynch hanno retrocesso le azioni del noto produttore sportivo Nike (NYSE: NKE) da “hold” a “sell”, riportando la perdita di quote di mercato nei confronti di Adidas (ETR: ADS) e Under Armour (NYSE: UA) che sono state alle calcagna di Nike Inc. con nuovi prodotti e un marketing aggressivo.

Secondo gli analisti, incontri avvenuti recentemente con alcuni dei più grandi fabbricanti asiatici del marchio Nike suggeriscono che la sua vena di prodotti innovativi si sia esaurita, perlomeno fino alla fine del 2017. E Pou Chen (TPE: 9904), una delle più importanti fabbriche del gigante dell’abbigliamento sportivo, ha annunciato l’intenzione di diversificare la propria clientela rispetto alla sola Nike.

Il cambio di rating balza all’occhio poiché raramente Wall Street bolla aziende di prim’ordine come Nike con un “sell”. In effetti, dal 1997, Nike non ha mai avuto contemporaneamente più di un rating “sell” sulle sue azioni; ciò si è verificato solo in 29 occasioni rispetto ai 216 mesi di consensus raccolti dagli analisti di Bloomberg.

Lo scorso marzo era stato preannunciato che il predominio di Nike sarebbe stato messo a repentaglio dalla maggior aggressività di concorrenti come Under Armour, Adidas e Lululemon Athletica (NASDAQ: LULU) a luglio, mentre l’amministratore delegato Mark Parker sostanzialmente ignorava il rallentamento della crescita nelle vendite Nike – per non parlare del ritorno in auge di Adidas – all’azienda veniva suggerito di prendere più sul serio la competizione.

Ma il colosso dell’abbigliamento sportivo non ha cambiato rotta. Nell’ultimo trimestre le vendite di Nike sono scese al di sotto delle previsioni di Wall Street. Inoltre la crescita degli ordini futures in nord America – un meccanismo che consente ai venditori al dettaglio di ordinare prodotti Nike diversi mesi prima della consegna – è rallentata per il quarto trimestre consecutivo, a riprova del calo progressivo della domanda.

Anche la crescita dei futures in Cina, che erano lievitati grazie agli ingenti investimenti nel paese da parte di Nike, hanno iniziato a mostrare segni di cedimento. Complessivamente l’America settentrionale e la Cina rappresentano circa due terzi del fatturato totale dell’azienda.

Il mese scorso, invece di affrontare gli ammanchi futures nel suo annuncio degli utili agli investitori, Nike ha accantonato i numeri adottando il collaudato approccio “bugie, grandi bugie e statistiche”. Ed è così che Nike ha annunciato di non includere più le crescite futures – che per lungo tempo gli investitori avevano utilizzato per valutare i progressi della società – nei suoi resoconti trimestrali sui profitti.

Nel frattempo le azioni Nike sono crollate del 23% nell’ultimo anno. L’ultima volta che il titolo era sceso per più di quattro trimestri consecutivi risale al 1984.

Tutto questo avviene per una buona ragione. Coi suoi 32 miliardi di dollari di fatturato annuo – superiori alle vendite di Adidas, Lululemon, Under Armour e Foot Locker (NYSE: FL) messe insieme – Nike è il leader indiscusso in abbigliamento e calzature sportivi. Ma l’azienda si è seduta eccessivamente sugli allori, e così concorrenti che inizialmente erano piccoli (es. Lululemon e Under Armour) hanno iniziato a erodere aggressivamente le vendite di Nike.

Mentre va scemando la cosiddetta moda dell’athleisure, i consumatori stanno sostituendo le loro scarpe da jogging o da basket con alternative più casual come ad esempio le linee Stan Smith e Old Skool, rispettivamente di Adidas e Vans.

E così, mentre i concorrenti meno costosi conquistano consensi, Nike si trova in difficoltà ad aumentare i prezzi delle sue scarpe, una tattica che negli anni passati si era rivelata di successo in mancanza di nuove ed eccitanti mode da proporre ai consumatori più accaniti. A minacciare ulteriormente i margini di profitto è la tendenza crescente da parte di Nike a vendere online i suoi prodotti – una mossa intelligente, ma che ha conseguenze sui profitti.

Nike potrebbe non essere in grado di fare molto riguardo alle pressioni sul profitto o all’aumento della competizione. Ma dovrebbe perlomeno ammettere che le vendite stanno calando e che urge un piano per risolvere i problemi, sia che si tratti di accelerare sui nuovi prodotti o di attuare strategie più aggressive per firmare sponsorizzazioni ed evitare che personaggi di talento passino alla concorrenza. Qualora ciò non avvenisse, Nike potrebbe assistere alla trasformazione di un calo temporaneo in una débâcle totale.

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