Forse i mercati finanziari si sono sbagliati fin da sempre
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Il value premium sta sparendo? La risposta a questa domanda potrebbe scuotere le fondamenta dell’industria della gestione patrimoniale.

Prima di tutto, un po’ di contesto per i non iniziati. Alla fine degli anni ’70 e ’80, molti investitori e ricercatori hanno confermato quello che gli analisti di mercato affermavano già da tempo – che certe azioni sembravano a buon prezzo rispetto al loro valore su carta. Queste azioni tendevano a rendere meglio, in media, del mercato azionario nel suo intero. Un mistero, perché la teoria finanziaria di base dice che non dovrebbe essere così facile poter sconfiggere il mercato. Se si possono comprare delle azioni a buon prezzo, rispetto al loro valore contabile, e aspettare che crescano, il mercato non è molto efficiente, giusto?

Per battere il mercato in modo così semplice e consistente, la strategia dovrebbe incorrere almeno in un certo rischio sistematico – rischio che non si può eliminare con la diversificazione. All’inizio degli anni ’90, il futuro premio Nobel ricercatore finanziario Eugene Fama e il suo coautore di lunga data Kenneth French, trovarono una risposta parziale a questo enigma. Alcune azioni, dissero, erano cosiddette titoli di valore che tendevano a commerciare a prezzi al di sotto dei loro valori contabili. Durante certi periodi, queste azioni tendono ad aumentare tutte di valore, ma in altri, tendono a precipitare tutte insieme. Dopo un lungo periodo gli aumenti superano i cali, quindi questi titoli di valore guadagnano un premium. Ma se investi in titoli di valore e resti intrappolato in uno dei periodi brutti, sei in difficoltà. Quindi il value premium persiste, perché commerciare contro di esso, semplicemente riempiendosi di tutti i titoli di valore che si possono accalappiare, presenta dei rischi.

Questa risposta non era completamente soddisfacente. Perché i titoli di valore tendono tutti a salire in certi periodi e calare in altri? Una possibilità, descritta dal magnate Cliff Asness, gestore di capitali, è che i titoli di valore sono ‘imprese del cavolo’. Alcune compagnie traballanti possono trovarsi improvvisamente a corto di credito sotto certe condizioni, mentre altre compagnie riescono ancora a ottenere prestiti. Questo può spiegare il value premium. Ma è risultato che i periodi in cui il valore peggiora o migliora non sono chiaramente legati al ciclo degli affari. Il mistero resta un mistero.

Il modello di value premium basato sui rischi di Fama e French è diventato la norma per tutta l’industria della gestione di capitali. Ma c’è un’altra possibilità, più inquietante. Forse il value premium è causato non dal rischio, ma da inefficienze sistematiche nel mercato finanziario.

Ci sono altre ragioni, oltre al rischio, per cui gli investitori possono scegliere di evitare azioni che sembrano a buon prezzo. Una ragione è il comportamento del gregge – se gli investitori pensano che altri investitori stiano evitando una certa azione, possono essere portati a credere che quell’azione non sia valida e quindi evitarla loro stessi. Alcune azioni possono essere semplicemente noiose e non attraenti. Alcune possono essere di compagnie ignote di settori trascurati, oppure per le quali informazioni possono essere più difficili o costose da ottenere.

Tutti questi fattori possono essere stati più diffusi negli anni ’60 e ’70, quando i dati erano scarsi e cari, i costi di trading erano molto più alti e il numero di investitori professionisti era più limitato. Con il miglioramento del mercato finanziario, abbiamo forse visto aumentare il numero di investitori che hanno la volontà di fare il duro lavoro di scovare compagnie ignote e noiose e che vogliono andare contro corrente. Se il value premium era davvero una sottovalutazione sistematica piuttosto che un vero premium a rischio, allora lo sviluppo graduale del mercato finanziario dovrebbe aspettarsi di ridurre questo premium col tempo.

Ci sono dei segnali che questo stia già accadendo. Sebbene i titoli di valore siano andati bene all’inizio del nuovo millennio, hanno drammaticamente ottenuto risultati inferiori all’aspettativa dall’inizio della crisi, anche se il mercato è esploso. Naturalmente si potrebbe trattare di un periodo particolarmente lungo di calo di rendimento – potremmo aspettarci di vedere molto presto il valore rimbalzare di nuovo. In effetti però il declino perdura ormai da un periodo più lungo – il value premium sta calando fin dalla metà degli anni ’90. Guarda caso questo ha coinciso con il fatto che Internet e i sistemi di commercio computerizzati hanno reso possibile investire in azioni in modo meno costoso e raccogliere informazioni in modo più facile.

Questo significherebbe che i mercati stanno diventanto più efficienti – almeno per quanto riguarda questo aspetto particolare. Ma significherebbe anche che quest’efficienza di mercato richiede molto tempo per stabilizzarsi. Se un’errata valutazione del prezzo grande e sistematica come quella del value premium, può sopravvivere per decenni prima che sia finalmente corretta, allora altri difetti nel mercato possono essere altrettanto longevi. Per esempio, anche il momentum factor, un altro pilastro della teoria finanziaria standard, potrebbe essere un difetto del mercato al quale eventualmente verrà mostrata la porta.

Se il mercato è così inefficiente, significa che anche i prezzi delle azioni sono, in senso profondo, ‘sbagliati’ – non sono la miglior quotazione disponibile del valore di una compagnia. Questo suggerirebbe che dovremmo fare meno affidamento sul mercato di quel che facciamo per cose tipo lo stipendio dei dirigenti. Allora vedremo se il value premium ritornerà. In caso contrario vorrà dire che non si è mai trattato di rischio.

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