La Norvegia è indecisa su come spendere i petroldollari accumulati
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Il paese scandinavo ha accumulato un capitale considerevole e adesso può permettersi il lusso di investire tenendo conto di etica e morale.

Due decenni dopo che il governo norvegese ha pagato un primo deposito nel suo fondo sovrano, il paese sta imparando a gestire un colosso del genere. Quest’ultimo viene utilizzato per investire all’estero i proventi norvegesi dalle vendite di petrolio e gas e ha raccolto una fortuna superiore alle aspettative. Dato che i benefici diretti dal petrolio sono destinati a scomparire - circa il 46% delle scorte totali di petrolio e gas della Norvegia sono terminate - l’importanza relativa del fondo crescerà. I ricavi annuali che genera adesso superano regolarmente quelli generati dalle vendite del petrolio.

Questa settimana il “Fondo Petrolifero Norvegese” valeva 7,3 mila miliardi di corone norvegesi (787,14 miliardi di euro), più del doppio del PIL della nazione. Nessun fondo sovrano è più grande. Possiede più del 2% di tutti i titoli nei listini europei e oltre l’1% a livello mondiale. Tra le 9.000 società di 78 paesi in cui ha investito ci sono Alphabet (NASDAQ: Alphabet Class A [GOOGL]), Apple (NASDAQ: Apple [AAPL]), Microsoft (NASDAQ: Microsoft Corporation [MSFT]) e Nestlé (SIX Swiss exchange: Nestle [NESN]).

Dopo avere progettato il fondo, la Norvegia si è impegnata a trarne il meglio. La sua indipendenza non è garantita dalla costituzione, ma è protetta come un’unità separata dentro la banca centrale, sotto la supervisione del ministro dell’economia e monitorata dal parlamento.

Il fondo viene mandato avanti con poche spese e in modo trasparente; ogni investimento viene rendicontato online.

Altri fondi potrebbero copiare queste strutture, ma avrebbero delle difficoltà a imitare i valori nordici che le sostengono. Yngve Slyngstad, capo del fondo, dice che la crescita fu “più veloce di quanto chiunque avesse previsto” e che una cultura politica fondata sulla fiducia ha fatto sì che si potesse risparmiare il più possibile. Una regola sul bilancio impedisce al governo di prelevare più dei ritorni annuali attesi dal fondi (stabiliti a 4% l’anno).

Il capitale, in teoria, non viene mai toccato.

Martin Skancke, che supervisionava le operazioni del fondo dal ministero dell’economia, attribuisce la fiducia di cui godono le istituzioni ai livelli relativamente alti di uguaglianza e omogeneità culturale. E di certo aiuta anche che molte aree rurali ricordano la povertà di appena due generazioni fa.

Eppure le attese del fondo potrebbero cambiare allo stesso modo in cui cambia la Norvegia.

I norvegesi alla guida di una Tesla sono meno timidi circa l’ostentazione del loro benessere economico. Gli under 50 hanno conosciuto solo un mondo nel quale i 5,2 milioni di norvegesi sono tra le persone più ricche. L’immigrazione è più alta che mai, specialmente dopo il flusso di rifugiati siriani.

Il Partito del Progresso, un partito di destra anti-immigrazione, ha chiesto a lungo che una quantità maggiore di denaro proveniente dal petrolio venisse spesa a casa. Come membro della coalizione di governo dal 2013, e con il ministro dell’economia proveniente dai suoi ranghi, il partito ha messo a freno la sua voglia di spesa. Ma nella prima metà di quest’anno il governo ha prelevato dal fondo più di quanto avesse depositato dai ricavi provenienti dal petrolio: un prelievo netto di 45 miliardi di corone.

I bassi ritorni recenti indicano inoltre che il capitale del fondo è diminuito leggermente.

Ma è ancora troppo presto per intravedere una tendenza di lungo termine, ma alcune persone sono preoccupate.

“É molto difficile avere un’enorme somma di denaro vicino al letto e allo stesso tempo dover stringere la cinghia” dice una fonte vicina alla fonte.

Slyngstad riconosce che poche democrazie sostengono fondi sovrani: i politici preferiscono sempre spese più alte e basse più basse.

Nega di aver subito mai delle pressioni politiche. Ma gli appetiti degli altri stanno crescendo in maniera evidente; quantomeno per usare il fondo diversamente, se non spendere di più.

Una critica riguarda il fatto che i ritorni relativamente modesti sugli investimenti in dollari (5,5% l’anno dal 1998) riflettono la troppa cautela di chi guida la strategia del fondo.

Sony Kapoor, tra i principali critici del fondo, ha detto che quest'ultimo ha fallito la sua missione nel corso del decennio passato perché non è riuscito a investire nei mercati emergenti che erano affamati di capitali e perché ha ignorato attivi non presenti in lista, come il settore delle infrastrutture. Egli dice che come risultato di quelle scelte il fondo ha perso “tra i 100 e i 150 miliardi di dollari”. Peggio ancora, aggiunge, è che la supposta cautela in effetti lo ha esposto a un rischio alto nel concentrare i suoi attivi nelle economie ricche.

I difensori della strategia del fondo respingono queste critiche e sostengono che i paesi più poveri spesso offrono troppe poche occasioni di investimento adatte. Ma questa non è l’unica critica da parte di Kapoor e altri. In una democrazia, la morale conta. L’etica degli investimenti viene discussa in tono ancora più acceso. Politici, ONG e altri soggetti affermano sempre più spesso che il fattore morale dovrebbe pesare più degli altri, anche dei profitti.

Il fondo si rifiuta di investire in società con prodotti considerati non etici come tabacco o molti tipi di armi. Sta attuando un approccio che ricorda sempre di più quello di un attivista politico nei confronti del suo portafoglio e sceglie di togliere i propri investimenti dalle società ritenute corrotte o che sono accusate usare energia e acqua in modo non etico o che beneficiano del lavoro minorile.

Il fondo inoltre non fa mancare la sua opinione su argomenti come le paghe troppo alte dei direttori esecutivi e ha detto che si unirà una class action contro Volkswagen (XETRA: Volkswagen [VOW3]) riguardo la manipolazione dei test sulle emissioni. Il fondo è stato istruito dal parlamento su come aiutare a combattere il cambiamento climatico. L’1% del suo portafoglio è occupati da società “verdi”. E ha dismesso ogni investimento da società che inquinano molto, che sono coinvolte nella deforestazione e, quest’anno, anche dalle società di miniere di carbone.

Queste restrizioni creano dei dilemmi. Il fondo investe ancora in petrolio per esempio: Royal Dutch Shell (AMS: RDSA) è una delle società di cui possiede più azioni. I consulenti etici sostengono di poter raggiungere risultati maggiori promuovendo pratiche virtuose all’interno delle società petrolivefere. Ma un ex consulente ammette che il cambio di clima all’interno del fondo rende questi investimenti “un paradosso” .

Nei fatti il fondo sta esportando valori norvegese oltre al capitale. Nel futuro potrebbe anche voltare le spalle a prodotti come zucchero e fast-food perchè causano obesità per esempio.

Finora i gestori del fondo non vedono nessun costo finanziario importante causato dal mettere nella black list circa 100 società. Ma non negano che alcune decisioni etiche comportino dei compromessi. I loro azionisti, i norvegesi stessi, potrebbero non essere sempre disposti a fargli fare quello che è giusto invece di quello che rende.

Fonte: The Economist

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