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La convinzione diffusa che a gennaio si sarebbe assistito a un rialzo è stata smentita in tutti i mercati del mondo.

Normalmente ci si aspetta che gennaio sia un buon mese per i mercati azionari, con nuovo denaro che si riversa nei fondi di investimento, mentre le vendite fiscali si riducono alla fine dell’anno.

Sebbene i dati sui rendimenti degli investimenti negli Stati Uniti mostrino che in realtà i profitti di gennaio siano stati storicamente soltanto leggermente migliori rispetto alla norma mensile, la convinzione generale in un “effetto gennaio” tendente al rialzo ha reso quest’anno la debolezza dei mercati azionari del mondo ancora più sconvolgente. Ma i pessimisti hanno ragione, anche se a volte sopravvalutano la magia di gennaio. Secondo gli esperti di statistica di Reuters, quest’anno è iniziato con il più grande crollo della prima settimana di Wall street da più di mezzo secolo e il calo mensile dell’8% nell’indice mondiale MSCI ha reso la performance di gennaio peggiore del 96% dei mesi monitorati. Quindi, quanto dovremmo essere preoccupati per l’economia mondiale?

Sembra che adesso ci siano tre paure ad influenzare la psicologia del mercato:

  • la Cina
  • il petrolio
  • il timore di una recessione globale o degli USA.

Cina

La Cina è sicuramente un problema abbastanza grande da mandare fuori strada l’economia mondiale e i mercati azionari per il resto del decennio. Lo abbiamo visto nei primi quattro giorni dell’anno, quando il crollo improvviso nel mercato azionario cinese ha scatenato il caos finanziario globale di gennaio. Ma il mercato azionario cinese ha un’importanza relativa per il resto del mondo. Il vero timore è che le autorità cinesi o agiranno aggressivamente per svalutare lo yuan oppure, più probabilmente, ne perderanno il controllo tramite una cattiva gestione involontaria, determinando una devastante fuga di capitali.

Tale scenario è sembrato abbastanza plausibile per qualche settimana della scorsa estate ed è riemerso come minaccia nelle prime due settimane di quest’anno. Entro la fine di gennaio, tuttavia, il clima del mercato è tornato a favore della stabilità in Cina. Questa calma potrebbe essere nuovamente disturbata se le riserve valutarie cinesi dovessero mostrare un’altra enorme perdita mensile, e gli sforzi delle autorità di gestire un rallentamento economico regolare resteranno la più grande fonte di preoccupazione legittima per i mercati finanziari per molti anni. Tuttavia, a giudicare dal comportamento del mercato nella seconda metà di gennaio, il timore riguardo alla Cina è diminuito, almeno per il momento.

Petrolio

Quando i prezzi del petrolio calano ogni giorno del 10%, ciò è ovviamente dannoso nel breve termine: i differenziali creditizi nelle risorse e nei settori collegati esplodono e gli investitori indebitati sono costretti alla svendita di asset per far fronte ai margin call.

Fortunatamente, sembra che il timore del mercato si stia attenuando, mentre i prezzi del petrolio raggiungono la parte più bassa della fluttuazione da 25-50 dollari che è sempre sembrata opportuna per le condizioni politiche ed economiche odierne.

Adesso che i prezzi del petrolio si stanno assestando su un livello ragionevole a lungo termine, l’economia mondiale e le imprese non di materie prime dovrebbero beneficiarne. Il basso costo del petrolio incrementa i redditi reali, incentiva le spese in beni e servizi non di risorse e aumenta i profitti per il settore dell’energia utilizzando le imprese.

Recessione

Eppure, nonostante questi ovvi benefici, molti investitori sembrano adesso ritenere che il calo dei costi del petrolio indichi un crollo nell’attività economica, il che ci porta alla terza paura che tormenta i mercati finanziari in questo inverno: una recessione dell’economia globale o degli Stati Uniti.

L’esperienza passata suggerisce che i prezzi del petrolio non siano un utile indicatore anticipatorio dell’attività economica. In effetti, se le oscillazioni del prezzo del petrolio hanno una qualche attinenza nelle previsioni economiche, lo sono come indicatore contrario.

Ogni recessione globale a partire dal 1970 è stata preceduta da un grande aumento nei prezzi del petrolio, mentre quasi ogni calo superiore al 30% è stato seguito da una rapida crescita e da quotazioni azionarie più alte. Il parere diffuso che i prezzi del petrolio in calo predicano una recessione è un chiaro caso della convinzione che questa volta sia diversa – una convinzione che generalmente prende il sopravvento nei mercati finanziari durante i picchi e i cali dei cicli di impennate.

In conclusione, cosa dire invece del calo delle borse di per sé come indicatore dei rischi di recessione? Si potrebbe citare il grande economista Paul Samuelson, che fece una celebre battuta negli anni ’60 affermando che il mercato finanziario aveva “previsto nove delle ultime cinque recessioni”. Vi è, tuttavia, una risposta meno rassicurante. Sebbene i mercati sbaglino spesso nel predire gli eventi economici, a volte le aspettative finanziarie possono influenzare tali eventi. Pertanto, qualche volta la realtà può essere forzata a convergere verso le aspettative del mercato, e non viceversa.

Questo processo, noto come “riflettività” è una forza potente nei mercati finanziari, specialmente durante i periodi di instabilità o crisi.

Nella misura in cui la riflessività funzioni tramite la fiducia di consumatori e imprese, questo non dovrebbe essere un problema, poiché il crollo dei prezzi del petrolio è un potente antidoto al declino del mercato azionario. I consumatori stanno guadagnando di più dal petrolio a basso costo di quanto stiano perdendo dai mercati azionari in calo, quindi l’effetto netto delle recenti turbolenze finanziarie sui consumi dovrebbe essere positivo – e un rafforzamento dei consumi dovrebbe alimentare le entrate delle imprese.

Una preoccupazione ancora maggiore riguarda il funzionamento della riflettività all’interno dello stesso sistema finanziario. I fallimenti di piccole imprese del settore energetico, che sono di limitata importanza economica, stanno creando pressioni sul settore bancario mondiale e stanno riducendo la disponibilità di credito per le famiglie e per le imprese fiorenti che sarebbero altrimenti beneficiarie del petrolio a basso costo. I timori di una svalutazione cinese che non è avvenuta (e che probabilmente non avverrà mai) stanno avendo lo stesso effetto deterrente sui crediti nei mercati emergenti. Nel frattempo, le banche centrali stanno continuando a irrigidire la concessione di crediti, nonostante le condizioni economiche suggeriscano che si stiano alleggerendo. In breve, niente della condizione dell’economia mondiale suggerisce che un forte rallentamento o una recessione sia inevitabile o persino probabile. Ma una combinazione letale di aspettative che si autoavverano ed errori di policy potrebbero far sì che la realtà economica si pieghi al tetro umore che prevale nei mercati finanziari.

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