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Mettiamo a confronto i costi sostenuti per l’arrivo dei rifugiati.

George Osborne recentemente ha annunciato che l’impegno del governo britannico di accettare 20,000 rifugiati siriani nel corso dei prossimi cinque anni sarà parzialmente finanziato dal bilancio per l’aiuto estero del Regno Unito. A prima vista, la mossa del cancelliere sembra una decisione molto strana: come può del denaro speso nel Regno Unito venir considerato come contributo della nazione allo sviluppo umanitario?

Eppure i costi per il sostegno dei rifugiati nelle nazioni donatrici sono riconosciuti internazionalmente come un componente del bilancio degli aiuti dal 1988, cioé da quando sono state emesse le nuove direttive dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e questo modo di conteggiare i costi è adesso molto diffuso tra i Paesi donatori di aiuti. Ed è in aumento, secondo il comitato dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) dei paesi d’oltremare, sia in termini assoluti che proporzionali.

Ma questo è dannoso sia per gli aiuti che per la politica sociale nel Regno Unito. Nel contesto dei vari tagli ai servizi principali, come l’assistenza abitativa, crea una categoria speciale di persone che continueranno a ricevere sostegni grazie ad altre leggi. Questo alimenterà per forza del rancore contro un gruppo che già crea un ampio scontento tra la popolazione.

Malgrado questo ovvio aspetto negativo, questo conteggio può ancora tornar utile alle soluzioni globali dell’attuale crisi dei rifugiati, sempre che le regole che governano questi calcoli per gli aiuti possano essere riformate e adattate.

In gran parte dal 1988 a oggi, una successione di governi britannici si è fermamente opposta all’idea di includere i costi del sostegno ai rifugiati nell’APS. Nell’ultimo decennio però, la posizione del Regno Unito sull’inserimento del sostegno ai rifugiati nel bilancio per gli aiuti è cambiata gradualmente. Nel 2009, per la prima volta alcuni costi per il sostegno ai richiedenti di asilo politico hanno fatto capolino nei calcoli per gli aiuti britannici, rappresentando lo 0,1% del totale APS, ed entro il 2013 questo è salito allo 0,8%, secondo quanto dice l’OCSE. Ciò è comunque al di sotto della media del 4,3% dei donatori OCSE e molto indietro rispetto ad altre nazioni, particolarmente quelle nordiche, come indicato nel grafico qui di seguito. L’annuncio di Osborne segnala un ulteriore e sostanziale aumento per il Regno Unito.

Cosa può essere considerato aiuto

L’APS è definito dall’OCSE come “aiuto governativo designato a promuovere lo sviluppo economico e il benessere dei paesi in via di sviluppo”. Le regole che governano quali spese possono essere conteggiate come APS sono definite dal Comitato dell’Aiuto allo Sviluppo (DAC) dell’OCSE.

Le discussioni sull’inserimento dei costi causati dal sostegno ai rifugiati che arrivano in una nazione donatrice, sono iniziate all’inizio degli anni ’80 e sono diventate una concordata linea di bilancio nel 1993. Da quel momento ci sono stati diversi tentativi di armonizzare il modo in cui il sostegno ai rifugiati nel Paese donatore veniva calcolato, ma c’è ancora un disaccordo significativo e un divario enorme tra i membri del DAC.

Tra il 2007 e il 2013 (ultimo anno per cui ci sono informazioni disponibili) il totale del sostegno ai rifugiati nel Paese donatore riportato come APS dai membri del DAC è più che raddoppiato, da quasi 2 miliardi di dollari a quasi 5 miliardi di dollari. In proporzione al totale APS speso dai donatori, questo segna un cambiamento dall’1,9% nel 2007 al 4,3% nel 2013.

La discussione più recente all’interno del DAC sulla possibilità di abolire la linea di bilancio sul sostegno ai rifugiati nel Paese donatore risale al 2001. Ed ecco cosa è venuto fuori:

"Il segretariato conserva la propria opinione, sostenuta da lunga data, che le spese dei donatori per i rifugiati che arrivano nel loro Paese, anche se ammirevoli dal punto di vista umanitario, non danno un contributo diretto sufficiente allo sviluppo economico e al benessere dei paesi in via di sviluppo, tale da potersi qualificare come aiuto pubblico allo sviluppo ufficiale. Includere tali dati indebolisce la credibilità del concetto di APS".

Soltanto per un anno

A quel tempo, oltre che dal Regno Unito, la proposta di rimuovere tale aiuto dai calcoli ufficiali dell’APS, era sostenuta da Belgio, Finlandia, Svizzera e USA, ma respinta da Australia, Austria, Canada, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Italia, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia. L’OCSE quindi non cambiò il meccanismo di rendiconto.

Ulteriori tentativi di chiarificare il modo in cui i dati vengono registrati non hanno avuto miglior successo. C’è una specie di tacito accordo sul fatto che solo il sostegno dato a un rifugiato nei primi 12 mesi dal suo arrivo nel Paese può essere conteggiato come APS e questo dovrebbe includere costi come assistenza abitativa e sussidio al reddito, ma non misure integrative come l’apprendimento della lingua.

Non c’è però un accordo su quando inizia questo periodo di 12 mesi (per esempio, dalla registrazione della domanda di asilo o dal riconoscimento come rifugiato) o su come i costi pro capite dovrebbero essere calcolati. Dati del 2009 dimostrano che i costi registrati per rifugiato variano da 1.803 dollari in Portogallo a 32.596 dollari in Belgio, con il Regno Unito più vicino al basso, con 3.261 dollari.

Non c’è ragione per cui il punto di vista del segretariato DAC del 2001 dovrebbe cambiare: inserire i costi dei rifugiati insieme ad altre cifre di costi per il Paese, indebolisce ancora tutt’oggi la credibilità dell’APS, anche se rispetto ad allora è ovviamente ancor più significativo ai giorni nostri.

Eppure c’è una ragione per sostenere una riforma sostanziale di questa linea di bilancio, piuttosto che la sua eliminazione, che però sembra politicamente impossibile. Un ritorno agli sforzi di armonizzare il metodo di raccolta dati per il sostegno ai rifugiati permetterebbe una valutazione chiara ed equiparabile degli impegni che ogni nazione si sta prendendo. Quest’informazione dovrebbe essere chiaramente separata dall’APS. Dovrebbe inserire misure positive di sostegno ai rifugiati, incluse le disposizioni per l’apprendimento della lingua e dovrebbe estendersi oltre i primi 12 mesi per riconoscere il sostegno che va al di là di questo periodo.

Se ci fosse un approccio meglio organizzato, si potrebbe poi fare più pressione su altre nazioni che ancora non contribuiscono e si potrebbero condurre in modo più efficace degli sforzi collettivi per aiutare ulteriori rifugiati, per esempio tramite l’Unione Europea. Tentativi di reagire alla crisi dei rifugiati nell’UE dimostrano come la mancanza di una volontà politica sia una delle maggiori barriere a una risposta sostanziale. Trovare un modo chiaro di valutare e valorizzare il contributo di ogni nazione al sostegno per i rifugiati, al di là del semplice numero di arrivi, potrebbe essere la soluzione al problema.

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