L’economia globale sta toccando il fondo
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La crescita di esportazioni e importazioni sta viaggiando a ritmi molto ridotti rispetto a quelli registrati durante i precedenti periodi di espansione economica, minacciando produttività e tenore di vita.

Il brusco calo registrato quest’anno nella crescita dei commerci globali sta evidenziando un’allarmante conseguenza della crisi finanziaria: le esportazioni e le importazioni di beni sono ben lontane rispetto ai livelli di crescita del passato e costituiscono perciò una minaccia per la produttività futura e per gli standard di vita.

Per il terzo anno consecutivo il tasso di crescita dei commerci globali è destinato a ricalcare l’andamento della debole espansione dell’economia mondiale, secondo i dati forniti dall’Organizzazione Mondiale del Commercio e le proiezioni dei più importanti economisti. Prima del recente crollo, è stata nel 1985 l’ultima volta in cui la crescita dei commerci ha registrato performance inferiori rispetto al tasso di espansione economica.

L’economista capo della OMC Robert Koopman ha dichiarato:

“Abbiamo assistito allo scoppio della globalizzazione e ora ci troviamo a un punto di assestamento, forse persino di barricamento. È un po’ come se la cinghia di distribuzione del motore della crescita globale si fosse allentata, o i cilindri non funzionassero a dovere”.

Dopo una netta ripresa avvenuta nel 2010 in seguito alla crisi finanziaria, il commercio globale è cresciuto solamente del 3% annuo rispetto al 6% registrato dal 1983 al 2008, rende noto l’OMC.

Gli economisti incolpano di questo rallentamento molti diversi fattori, dall’abbandono da parte della Cina di particolari tipi di attività manifatturiera al declino degli investimenti a livello internazionale. Tra le cause indicano anche la scarsità di nuovi importanti accordi di scambio e l’innalzamento di barriere commerciali dopo la crisi del 2008, così come la recente riluttanza da parte delle aziende di rifornirsi di prodotti e componenti da luoghi lontani.

In pochi intravedono segnali che indicano che il commercio ritornerà presto al suo precedente ritmo di crescita, pari al doppio del tasso di espansione economica prima del 2008. Nel 2006 i volumi di scambi globali erano cresciuti dell’8.5%, rapportati a un aumento del 4% del PIL globale.

Quest’anno l’OMC prevede di tagliare per la seconda volta le sue previsioni riguardanti il commercio globale 2015, dopo che nei primi sei mesi dell’anno si è verificata un’improvvisa contrazione – il primo calo così significativo dal 2009 ad oggi.

Gran parte del rallentamento è dovuto alle deludenti performance delle economie emergenti, tra cui anche la Cina, in netto contrasto con la crescita galoppante dei decenni precedenti. Il cambiamento ha portato gli economisti a domandarsi se il prolungato boom della globalizzazione guidata dagli scambi commerciali sia ormai finito.

“È alquanto ovvio il fatto che nel 2007 abbiamo raggiunto il picco di scambi commerciali,” ha dichiarato Scott Miller, esperto in commerci del Center for Strategic and International Studies di Washington D.C.

I volumi degli scambi commerciali globali potrebbero subire un piccolo recupero nella seconda metà dell’anno, ma registrare una crescita complessiva di appena l’1% nel 2015, stima Paul Veenendaal, economista presso il CPB Netherlands Bureau for Economic Policy Analysis; tale andamento ricalca da vicino quello del commercio globale. Si tratta di un risultato molto al di sotto del livello atteso di crescita globale, pari al 3.3% secondo il Fondo Monetario Internazionale.

Sostiene Veenendaal:

“Nella prima metà di quest’anno abbiamo assistito a un crollo le cui origini vanno ricercate nel significativo declino del commercio in Cina. La mia opinione è che quest’anno potrebbe verificarsi una nuova ripresa, ma non ne sono del tutto sicuro".

Nei primi sette mesi del 2015 le esportazioni USA sono calate del 5,6% sino a toccare quota 895.7 miliardi di dollari. Lo scorso agosto il valore delle esportazioni della Corea del Sud è diminuito del 14,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, registrando il calo più brusco degli ultimi sei anni a causa del crollo delle spedizioni verso la Cina. Le importazioni cinesi quantificate in dollari hanno registrato in agosto un calo su base annua del 13,8%, oltre alla contrazione dell’8,1% in luglio.

Negli anni ’80 e ’90 l’economia manifatturiera cinese iniziò la sua rapida ascesa e il collasso dell’Unione Sovietica permise agli scambi commerciali di estendersi alle nuove economie di mercato. Nel 2011 Pechino aderì all’OMC, riducendo lievemente alcune tariffe e impegnandosi ad osservare una serie di norme globali sulla circolazione. Altre economie emergenti riuscirono a decollare, sospinte dal credito a buon mercato, e molte aziende avviarono strategie per incrementare i margini di profitto delocalizzando la produzione nelle nazioni in cui i costi di manodopera erano inferiori.

“Quando iniziai a lavorare per Caterpillar nel 1975, i nostri principali mercati di esportazione erano i paesi ricchi – Canada, Australia, Europa e i paesi produttori di petrolio,” afferma Bill Lane, direttore degli affari economici globali presso Caterpillar Inc. “Quarant’anni dopo i più grandi acquirenti sono i paesi in via di sviluppo – America Latina, Africa, Medio Oriente e Asia.”

Ed ora sono proprio alcuni di questi paesi a causare a Caterpillar le maggiori preoccupazioni. L’azienda ha dichiarato che le vendite di macchinari da costruzione sono crollate del 30% in Asia nel primo trimestre dell’anno, trainate dai declini di Cina e Giappone.

Nel corso della crisi del 2008 i commerci hanno subito un repentino calo a causa del prosciugamento del credito e della contrazione delle economie in tutto il mondo. Successivamente i commerci sembravano essersi ripresi, senza però tornare mai ai livelli pre-crisi.

Uno dei motivi, sostengono gli economisti, è che le aziende sono preoccupate dall’idea di investire cospicue somme di denaro negli impianti produttivi. Un altro fattore è la lenta ripresa economica dell’Europa che ha pesato sui commerci tra i 28 stati membri riducendo, al tempo stesso, la domanda di beni di provenienza cinese tra cui i macchinari e l’elettronica, senza parlare poi delle esportazioni USA.

Allo stesso tempo disastri quali gli tsunami verificatisi in Asia, gli allagamenti devastanti in Thailandia e l’esplosione nel porto cinese di Tianjin stanno suggerendo ai dirigenti delle aziende di riconsiderare le loro catene di approvvigionamento su scala globale.

Douglas Lippoldt, senior trade economist presso la HSBC Holdings PLC, afferma:

“Si è verificato un certo accorciamento della catena del valore globale. C’è stato un reshoring della produzione – o, perlomeno, una riorganizzazione della catena del valore mirata a spostare la produzione in luoghi più vicini per ragioni di sicurezza".

Un altro elemento negativo è stato il fallimento, da parte delle autorità competenti, nella messa in atto di importanti accordi commerciali. Le negoziazioni Doha Round dell’Organizzazione Mondiale del Commercio sono fallite, anche se l’organismo con sede a Ginevra ha raggiunto un accordo sulla rimozione degli ostacoli alla crescita del commercio nei paesi in via di sviluppo. I paesi in cui il commercio di dispositivi hi-tech supera quota 1000 miliardi di dollari all’anno si sono accordati sull’eliminazione delle tariffe sui prodotti, anche se con tempistiche non meglio definite.

Le economie sviluppate, ora più dipendenti da servizi e nuove tecnologie piuttosto che dai tradizionali prodotti della manifattura, assisteranno a una crescita grazie a nuovi accordi commerciali come ad esempio il patto Trans-Pacific alla cui approvazione il presidente degli USA Barack Obama ha lavorato per anni, assicurano gli economisti.

I detrattori della globalizzazione sostengono che la vigorosa crescita dei commerci potrebbe portare a cambiamenti nelle attività lavorative e nelle culture di tutto il mondo. Tuttavia, molti esperti considerano il commercio come un motore per l’innalzamento degli standard di vita, poiché le merci scambiate a livello internazionale allargheranno la base di acquirenti di determinati prodotti innescando la competizione e la specializzazione, ed abbassando quindi i prezzi finali per i consumatori. I paesi asiatici che hanno aperto le loro frontiere hanno assistito al trasferimento di milioni di cittadini dalle piccole attività agricole ai lavori meglio retribuiti presso le aziende dedite all’export. La debolezza della crescita globale potrebbe rallentare gli sforzi per alleviare la povertà, dicono gli economisti.

Mentre le politiche economiche della Cina e la manodopera a basso costo hanno contribuito alla nascita di un colosso del settore manifatturiero, oggi Pechino sta lavorando a un cambio di direzione verso consumi interni, servizi e manifattura avanzata. La Cina ha iniziato a costruire molti dei prodotti che un tempo era solita importare. Nel 2004 le esportazioni di macchinari e attrezzature per il trasporto hanno iniziato a superare le importazioni, a seguito di un’impennata della produzione interna. Nel 2013 queste esportazioni si sono stabilizzate a un valore di oltre 1000 miliardi di dollari.

Quest’anno alcune multinazionali hanno ammesso di incontrare crescenti difficoltà nell’esportare ed importare prodotti dalla Cina.

La Fiat Chrysler Automobiles NV ha dichiarato che le esportazioni di Maserati verso il mercato cinese sono crollate del 37% nel secondo trimestre, in parte a causa della vigente campagna anticorruzione che dissuade dall’acquisto di beni costosi. L’amministratore delegato di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne, ha affermato che anche i veicoli a marchio Jeep incontrano simili difficoltà in un paese in cui continua ad aumentare l’acquisto di beni prodotti internamente. “Ritengo che ad essere colpita sia la capacità di ottenere margini di ricavo significativi sulle automobili che vengono importate dall’estero, per tutta una serie di motivi,” ha dichiarato Marchionne agli analisti alla fine di luglio. “Abbiamo assistito a un calo sia nei volumi che nella capacità di generare margini di profitto. E credo che questa situazione sia ormai permanente.”

In tempi di crisi i paesi hanno deprezzato le loro valute allo scopo di spingere le esportazioni e stimolare la crescita, ma gli andamenti degli scambi con l’estero hanno poche possibilità di migliorare la situazione complessiva del commercio. Potrebbero persino risultare poco appetibili, considerando le pressioni internazionali per evitare la svalutazione e i suoi limitati benefici.

Il recente quantitative easing messo in atto dal Giappone ha indebolito lo yen, tuttavia è riuscito a dare solo una minima spinta alle esportazioni, secondo un rapporto pubblicato questo mese dalla Brookings Institution.

Per la Cina lasciare che lo yuan si indebolisca ulteriormente comporterebbe solo dei limitati vantaggi per gli esportatori, alla luce dei materiali importati e dei pagamenti del debito estero.

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