Il declino di Brasile e Messico tra politici corrotti, cartelli della droga e scandali
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Le due principali economie dell’America Latina stanno barcollando... e non sanno cosa riserverà loro il futuro.

In America Latina, il crollo dei prezzi delle materie prime e l’incertezza che sta attraversando alcune delle più importanti potenze economiche mondiali sembrano avere colpito duramente le due principali economie di quest’area geografica.

Tali difficoltà economiche, insieme all’instabilità politica, indicano che probabilmente la regione arriverà zoppicando alla fine del 2015, mentre le sue vigorose economie sono alle prese con un futuro incerto.

Le inquietudini politiche del Brasile e le prospettive in peggioramento

La più grande economia dell’America Latina è solo l’ombra di ciò che era in passato. Si stima che l’attività economica stia subendo un calo del 5% annuo, con una contrazione del 2.06% attesa per il 2015.

Se le stime verranno confermate gli ultimi sette anni saranno stati all’insegna della crescita zero, quando non addirittura negativa, per l’economia principale di questa area geografica.

All’inizio del mese di agosto, il real brasiliano veniva scambiato con il dollaro ai livelli più bassi da anni, ed era previsto che l’inflazione raggiungesse il 9%. Ciò ha determinato l’aumento dei tassi di interesse di mezzo punto percentuale alla fine di luglio, il più cospicuo balzo in avanti verificatosi da nove anni a questa parte.

L’attività nel settore dei servizi ha raggiunto il suo minimo dall’epoca della crisi finanziaria, mentre il tasso di disoccupazione è cresciuto sino a raggiungere l’8.3% nel secondo trimestre del 2015, con 8.4 milioni di persone senza lavoro su un totale di 204 milioni di brasiliani.

La fiducia dei consumatori è crollata ai minimi storici dal 2005 – anno in cui iniziarono le rilevazioni – e Moody’s ha declassato il rating delle obbligazioni del paese a Baa3, con un outlook negativo.

“I risultati complessivi del settore manifatturiero e dei servizi hanno sofferto della peggior caduta dagli inizi del 2009,” riporta un’analisi di Markit Economics. “Ci si attende che la domanda debole, gli elevati tassi di interesse, la stretta fiscale, l’inflazione galoppante e la crescita della disoccupazione continuino a ostacolare l’economia.”

Questo declino sarebbe già di per sé sufficiente per mettere a repentaglio le prospettive future di qualsiasi politico.

Ma non solo: va anche ricordato lo scandalo di ampie proporzioni legato alla corruzione che ha avuto come protagonista l’azienda petrolifera di proprietà statale Petrobras. Lo scandalo ha coinvolto molti dei politici più in vista del paese, tra cui la presidente Dilma Rousseff, causando un’ondata di dimissioni e di procedimenti giudiziari.

La reazione della presidente brasiliana Dilma Rousseff nel corso di un meeting con i leader del partito socialdemocratico brasiliano (PSD) tenutosi al Planalto Palace, Brasilia.

La Rousseff, che era a capo della Petrobras quando il presunto giro di mazzette iniziò ad espandersi, ha dichiarato di non avere mai notato alcun segno di corruzione, sebbene lo scandalo abbia messo sotto indagine almeno una settantina tra politici e dirigenti.

Nel mezzo della controversia in atto la popolarità della Rousseff è crollata sino a raggiungere percentuali a cifra singola, mentre quasi tre quarti del paese danno un giudizio negativo al suo governo.

Un’iniziativa popolare ha invocato a gran voce le sue dimissioni. Secondo quanto riportato dai sondaggi pubblicati ai primi di agosto, almeno il 70% dei brasiliani crede che la presidente sia coinvolta nello scandalo, ipotesi per cui propendono anche molti politici.

Ciononostante, anche in questa profonda crisi potrebbero esserci degli elementi di ottimismo. Gli investigatori federali che si occupano della lotta alla corruzione possono perseguire liberamente i personaggi più potenti del paese. E i politici dell’opposizione si sono opposti ai membri dei propri partiti che hanno formulato accuse di impeachment senza alcuna prova di reato.

“Fino a questo momento non sembra che la Rousseff sia imputabile di alcun reato di corruzione… potrebbero essere danneggiati i loro futuri leader e partiti, incluso quello del presidente, se l’impeachment diventasse troppo politicizzato,” ha dichiarato a Business Insider Shannon O’Neil, docente in Studi sull’America Latina presso il Council on Foreign Relations americano.

I dimostranti reggono uno striscione durante una protesta a Brasilia contro il presidente del Brasile Dilma Rousseff.

Le capacità di recupero delle istituzioni democratiche del Brasile indicano che il paese può farcela e, forse, persino riemergere in condizioni migliori da questa controversa congiuntura politica.

“L’indipendenza del sistema giudiziario e il protrarsi delle indagini suggeriscono che alla fine la democrazia brasiliana potrebbe diventare più forte, obbligando a una maggiore apertura e diventando più responsabile,” sottolinea O’Neil.

Per quanto riguarda l’economia, non rimane che attendere e vedere come si evolverà la situazione.

L’economia sofferente del Messico e il grave problema della criminalità

Anche la seconda più grande economia dell’America Latina è alle prese con un lungo elenco di difficoltà.

Il Messico ha iniziato il 2015 con una crescita del PIL stimata al 4.2%.

Da quel momento in poi le stime hanno continuato ad assottigliarsi, fino all’ultima previsione che ipotizza una crescita compresa tra appena l’1.75% e il 2.5%.

Un quartiere povero di Città del Messico, 23 luglio 2015.

Le previsioni al ribasso riguardanti la crescita, secondo O’Neil, indicano “un generale rallentamento, ma più probabilmente la persistente biforcazione, dell’economia messicana.”

Alcuni stati del Messico, in particolare quelli che intrattengono rapporti commerciali con gli Stati Uniti, hanno continuato a crescere, mentre altri – quelli le cui economie sono principalmente basate sull’energia – hanno rallentato più del previsto.

Ma anche altri trend riguardanti il paese hanno acceso le preoccupazioni. Alla fine di agosto il peso messicano ha raggiunto un valore di 17 a 1 contro il dollaro, un nuovo minimo storico che segna il deprezzamento del 15% raggiunto quest’anno.

Molti cittadini messicani hanno accusato il governo del crollo e la maggioranza di essi, quando intervistati, si sono dichiarati dubbiosi in merito a una possibile ripresa.

Alcuni osservatori hanno suggerito che un peso dal valore più basso potrebbe dare slancio alle esportazioni, ma il deprezzamento di altre valute nazionali sembra avere messo un freno a questa crescita, secondo quanto dichiarato dal Carlos Petersen, responsabile per l’America Latina dell’Eurasia Group.

“La Banca del Messico (Banxico) ha affermato che, data l’attuale svalutazione del peso, i prezzi non hanno subito ripercussioni, ma non è comunque possibile evitare che ciò accada in futuro,” ha messo in guardia Petersen, pur dubitando che il commercio e l’approvvigionamento dei beni possano andare incontro a grosse difficoltà.

Altri hanno tuttavia avvertito che l’indebolimento del peso, in un periodo di crescita economica praticamente insignificante o nulla, potrebbe innescare la crisi del debito dal momento che “il debito in dollari americani, detenuto dalle società per azioni messicane che basano il loro reddito operativo sul peso, potrebbe diventare sempre più difficile da gestire.”

Il dipendente di una raffineria cammina nei pressi delle torri di distillazione, utilizzate per separare il greggio in idrocarburi leggeri e pesanti durante il processo di raffinazione, a Tula, il 21 novembre 2013.

Le riforme che hanno portato alla privatizzazione del settore petrolifero volute dal presidente Enrique Peña Nieto, uno dei risultati principali del suo mandato, hanno dato risultati deludenti. Lo scorso luglio, nel corso della prima tornata di aste per la concessione dei diritti di esplorazione, solamente 2 dei 15 blocchi disponibili hanno ricevuto offerte accettabili. Alla fine dello stesso mese, l’azienda petrolifera statale Pemex ha annunciato la sua undicesima perdita trimestrale consecutiva.

L’amministrazione Peña Nieto ha lavorato duramente, da allora, per fare in modo che le offerte risultassero più appetibili. Ai primi di agosto il governo ha chiesto di incrementare la flessibilità del processo di offerta, in modo da invogliare alla partecipazione le principali compagnie petrolifere.

“Ci si aspetta che il governo apporti delle modifiche a tutto ciò che è necessario, al fine di evitare che un’altra asta vada deserta,” ha dichiarato Petersen.

“Il successo della riforma energetica è un elemento chiave per l’amministrazione che, di conseguenza, agirà per raggiungere questo obiettivo.”

Il presidente del Messico Enrique Peña Nieto si asciuga il sudore dalla fronte durante la cerimonia di firma dei membri della Pacific Alliance alla Climate Change Conference svoltasi a Lima, Perù.

Nel mezzo di questi problemi macroeconomici, i lavoratori messicani hanno dovuto fare i conti con una crescente povertà e un impressionante divario in termini di ricchezza.

Alla fine del 2012, oltre la metà dei cittadini messicani viveva in condizioni di povertà; altri due milioni si sono aggiunti ad essi nel 2014. Più della metà della popolazione del paese, con tutta probabilità, non ha raggiunto il livello minimo di entrate mensili stabilito dal governo.

I messicani hanno dovuto assistere anche alla diminuzione del loro potere d’acquisto; tra il 1994 e il 2012, i salari sono cresciuti solamente del 2.3% in rapporto all’inflazione. In termini di crescita reale del PIL, il Messico è al 18° posto fra i venti paesi della regione.

Al tempo stesso, appena 2540 messicani – pari a circa il due per mille della popolazione – detengono il 43% della ricchezza individuale complessiva del paese.

Oltre al peggioramento delle condizioni economiche, molti cittadini messicani hanno anche dovuto subire un’escalation degli episodi di violenza. Lo scorso anno dozzine di persone sono state massacrate nel corso di sospetti attacchi da parte della polizia, centinaia di migranti sono stati rapiti o uccisi, diversi giornalisti e alcuni politici sono stati assassinati e i loro delitti sono rimasti impuniti.

Come se non bastasse il più potente signore della droga di tutto il mondo, Joaquin “El Chapo” Guzmán, lo scorso luglio è clamorosamente evaso da una prigione ad altissima sicurezza del Messico centrale; una fuga che Peña Nieto aveva definito come “imperdonabile” agli inizi del 2014 quando il boss venne catturato.

Escludendo l’evasione di El Chapo il problema del crimine in Messico ha assunto una dimensione prevalentemente territoriale, con la frammentazione dei cartelli della droga che ha portato alla proliferazione dei gruppi criminali locali. Il confronto con essi richiede, almeno in parte, una maggior fermezza da parte dello stato e delle istituzioni locali.

“Gli sforzi messi in campo da alcuni stati e città hanno raccolto successi in questa lotta,” ha dichiarato Petersen a Business Insider, “ma luoghi come Guerrero, Michoacan o Tamaulipas devono affrontare sfide estremamente difficili a causa della debolezza delle istituzioni locali”.

Un membro delle pattuglie di difesa della comunità a fianco di una marcia anti-elezioni indetta dai genitori degli studenti scomparsi di Ayotzinapa, a cui partecipano centinaia di manifestanti, svoltasi a Tixtla (Stato di Guerrero, Messico), sabato 6 giugno 2015.

Il Messico è alle prese anche con previsioni economiche contrastanti. Sia O’Neil che Petersen hanno notato che l’indebolimento della valuta nazionale non ha ancora portato all’inflazione o all’aumento dei prezzi, ma non ha nemmeno dato una spinta significativa alle esportazioni.

In più la crescita rimane una grossa preoccupazione, dal momento che il governo può contare su pochi “strumenti per dare uno stimolo significativo alla crescita,” ha dichiarato in una nota l’Eurasia Group il 31 agosto scorso.

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