Cosa è successo quest’anno nel mercato delle criptovalute?
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28 dicembre 2017

La crescita del market cap da 17,7 a 600 miliardi dollari, il successo delle Ico e le reazioni delle autorità: un riepilogo di quello che è successo nel mercato delle criptovalute durante il 2017.

Probabilmente il 2017 passerà alla storia come l’anno in cui il mondo ha scoperto le criptovalute.

Basti pensare che nel mese di gennaio la capitalizzazione totale del mercato ammontava a soli 17,7 miliardi di dollari, mentre a dicembre ha superato i 630 miliardi. Con più di oltre 1.300 token in circolazione e diverse performance da capogiro, l’espansione del settore ha fatto sì che un po’ tutti cominciassero a interessarsi al mondo delle criptovalute: Wall Street, le autorità di vari Paesi, i ladri e ovviamente anche gli investitori comuni.

Bitcoin

Per molti analisti il 2017 è stato l’anno del bitcoin. Vi sono diverse ragioni dietro a questa posizione. Il bitcoin (Bitcoin) continua a essere la criptovaluta principale per market cap e con un ampio margine, nonostante la sua dominance sia scesa di parecchio dall’80% che registrava il primo gennaio.

Il prezzo della criptovaluta, che ha iniziato l’anno al di sotto dei 1.000 dollari, il 17 dicembre ha superato quota 20.000 dollari.

Nel corso del 2017, la rete Bitcoin ha sperimentato diversi hard fork, causati da una mancanza di consenso all’interno della comunità circa lo sviluppo del protocollo. Almeno due di queste scissioni hanno avuto successo: attualmente Bitcoin Cash e Bitcoin Gold si collocano rispettivamente al quarto e al dodicesimo posto in termini di capitalizzazione.

Inoltre alla fine dell’anno il bitcoin ha attirato l’attenzione di Wall Street. Prima CBOE e poi CME Group, hanno lanciato i futures sul bitcoin.

Si tratta di un evento molto importante nella storia della prima criptovaluta, in quanto i futures sono uno strumento del mercato regolamentato, e ciò permette di negoziare con i bitcoin anche agli investitori che preferiscono non operare sugli exchange.

Altcoin

In molti concordano che il valore reale delle singole criptovalute sia dato precisamente dalla tecnologia alla base di ogni progetto. Ad esempio, nel caso di Ethereum abbiamo i contratti intelligenti, mentre nel caso di Ripple è la tecnologia di trasferimento istantaneo di denaro al servizio del sistema bancario.

Il fair value dipenderà quindi dalla domanda di una particolare tecnologia tra i diversi settori di utenti aziendali e privati. In questo scenario sono emerse in particolare cinque criptovalute alternative.

  • Ethereum: una piattaforma decentralizzata basata su una blockchain alimentata dal token ether e che ha negli smart contract la sua caratteristica principale.
  • Ripple: una piattaforma centralizzata che punta a dominare il settore delle transazioni interbancarie.
  • IOTA: un progetto che utilizza la tecnologia DLT (Distributed Ledger Technology) Tangle, considerata pioneristica nel campo dell’Internet of Things.
  • Dash: una popolare criptovaluta basata su un sistema P2P open source e decentralizzato.
  • Litecoin: un’alternativa veloce ed economica al bitcoin.
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ICO

Una delle storie più interessanti del 2017 sono le Initial Coin Offering (ICO), che si sono evolute da fenomeno di nicchia a metodo di raccolta fondi capace di sfiorare i 5 miliardi di dollari.

E questo è accaduto nonostante il fatto che gran parte dei progetti non abbiano avuto molto successo o addirittura si siano rivelati delle frodi.

Il vantaggio principale delle ICO è che offrono alle startup l’opportunità di raccogliere fondi senza un prodotto finito e senza essere tenute a rispondere alle autorità di regolamentazione.

Tuttavia, il settore ha cominciato a mostrare segni di maturità alla fine di quest’anno. I fondatori delle startup hanno iniziato a coinvolgere consulenti e avvocati provenienti da Wall Street, mentre le aziende stanno ora cercano di avere un prototipo del prodotto che intendono sviluppare.

In tutto questo le autorità competenti hanno dovuto prestare maggiore attenzione alle ICO. I rappresentanti del governo e delle banche centrali di molti Paesi hanno messo in guardia gli investitori sui rischi di investimento nelle ICO, ma in pochi hanno adottato misure concrete.

Tra le decisioni più importanti si ricordano il ban voluto dalla Cina, che in settembre ha vietato del tutto le ICO e ha chiesto la restituzione del denaro agli investitori, la dichiarazione della SEC, che nel mese di luglio ha detto che le ICO sono equiparabili a offerte di prodotti finanziari, e il blocco deciso dalla Corea del Sud.

La politica e le autorità

Le autorità di tutti i Paesi del mondo in cui c’è un sistema finanziario più o meno sviluppato non possono più permettersi di ignorare questo mercato, la cui capitalizzazione oggi supera i 500 miliardi di dollari ed è probabilmente destinata ad aumentare.

Le ragioni sono molteplici. Alcuni stati non vogliono perdere il monopolio della gestione del denaro, almeno nel loro territorio e temono che, non appena il mercato delle criptovalute raggiungerà le masse, la volatilità e il rischio di hacking che corrono wallet ed exchange possano causare perdite significative capaci nel peggiore dei casi di ripercuotersi sulla stabilità dei mercati finanziari.

Altri temono che l’anonimato o la non tracciabilità delle transazioni offerte da certe criptovalute abbia agevolato il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo.

Detto questo, anche le banche centrali stanno iniziando a riconoscere il potenziale della tecnologia stessa, come ad esempio la Banca di Russia e la Banca popolare cinese che starebbero testando i propri token. La Banca d’Inghilterra, la Banca del Giappone e la Banca centrale europea invece hanno mostrato interesse riguardo le potenziali applicazioni della tecnologia blockchain, considerata comunque ancora troppo acerba per uso su vasta scala.

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