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08 luglio 2016

Le banche italiane potrebbero scatenare la prossima crisi in Europa.

Gli investitori in giro per il mondo sono straordinariamente nervosi. Questa settimana rendimenti su dieci anni del Tesoro sono calati ai minimi storici; gli acquirenti di bond di 50 anni del governo svizzero sono pronti ad accettare un rendimento negativo. Parte dell’inquietudine proviene dalla decisione della Gran Bretagna di lanciarsi nell’ignoto. Il pound, che il 6 luglio ha raggiunto i minimi in 31 anni contro il dollari, deve ancora toccare il fondo; diversi fondi britannici di proprietà immobiliari hanno sospeso i rimborsi mentre il valore dei loro asset sprofonda. Ma il voto del Brexit non spiega completamente l’attuale disagio. Un’altra, potenzialmente più pericolosa, minaccia finanziaria si profila all’orizzonte: gli istituti di credito italiani che barcollano sull’orlo di una crisi bancaria.

L’Italia è la quarta economia d’Europa e una delle più debole. Il debito pubblico sta al 135% del PIL; il tasso di occupazione tra gli adulti è più basso che in ogni altri paesi dell’Ue a parte la Grecia. L’economia è stata moribonda per anni, soffocata dall’eccesso di regolazione e dalla produttività debole. Nel mezzo della stagnazione e della deflazione, le banche italiane sono nei guai, appesantite da circa 360 miliardi di euro di crediti deteriorati, l’equivalente di un quinto del PIL del paese. Collettivamente hanno coperto solo il 45% di quella quantità. Al meglio, le deboli banche italiane rallenteranno la crescita del paese; al peggio, alcune andranno in fallimento.

Italia e Grecia tra sofferenza e ripresa economica

Non sorprende che gli investitori siano volati via. Le azioni delle maggiori banche italiane hanno perso metà del loro valore da aprile, un sell-off che si è intensificato dal voto sul Brexit. La maggiore preoccupazione immediate è la solvibilità di Monte dei Paschi di Siena, la banca più vecchia del mondo. Diversi tentativi di ripulirla sono falliti: adesso ha raggiunto un decimo del suo valore contabile e potrebbe non superare lo stress test della Banca centrale europea più tardi questo mese.

Ma il caos delle banche italiane è pericoloso anche solo per le dimensioni. Ma è anche esemplare dei mali più ampi dell’area euro: la tensione tra le regole fatte in Bruxelles e le esigenze delle politiche nazionali; e il conflitto tra i creditori e i debitori. Entrambi sono la conseguenza di riforme finanziarie raffazzonate. Gestita male, la situazione italiana potrebbe essere la rovina dell’eurozona.

Un malato grave

L’Italia ha urgentemente bisogno di una grossa e coraggiosa ripulita nel suo settore bancario. Con il capitale privato che vola via ed esaurito quasi del tutto un fondo finanziario salva-banche, verrà richiesta un’iniezione di denaro pubblico. Il problema è che tutto questo è impossibile dal punto di vista politico.

Le nuove regole dell’eurozona dicono le banche non possono salvate dallo stato a meno che i detentori di obbligazioni non prendano le perdite. Il principio di “salvare” i creditori invece di presentare il conto ai contribuenti è buono. Nella maggior parte dei paesi i bond delle banche sono posseduti da grossi investitori istituzionali, che conoscono i rischi e possono permettersi le perdite. Ma in Italia, grazie in parte a una particolartià delle leggi fiscali, circa 200 miliardi di bond bancari sono in possesso di investitori individuali. Quando alcune piccole banche vennero assistite sotto le nuove regole a novembre, un investitore si è suicidato.

Ciò ha provocato una tempesta politica. Obbligando degli italiani comuni a sostenere nuovamente le perdite danneggerebbe seriamente Matteo Renzi, il primo ministro, distruggendo le sue speranze di vincere un referendum costituzionale in autunno. Renzi vuole che le regole vengano applicate con flessibilità.

Ma c’è di mezzo anche la politica nei paesi creditori dell’eurozona. La Germania dice giustamente che i problemi dell’Italia sono in gran parte colpa sua. È stata lenta in maniera imperdonabile nel fare i conti con le sue banche azzoppate, forse perché i suoi istituti di credito sono legati alla politica locale.

Ogni sistema che permette agli stati membri di scegliere quali regole rispettare è destinato a turbare gli elettori in Germania. Dato che Renzi ha molto da guadagnare annacquando o sospendendo le regole, la clemenza potrebbe avere un costo politico in Germania, dove si terranno le elezioni il prossimo anno.

“Abbiamo scritto le regole per il sistema di credito”, ha detto Angela Merkel in risposta alle richieste di indulgenza da parte di Renzi. “Non possiamo cambiarle ogni due anni”.

C'è una via di fuga?

Nonostante questo, il primo ministro italiano ha ragione. La pressione del mercato sulle banche italiane non si fermerà fino a quando non verrà ristabilita un po’ di fiducia, e questo non accadrà senza fondi pubblici. Se le regole sul bail-in sono applicate rigidamente in Italia, il grido di protesta da parte dei risparmiatori danneggerà la fiducia e lascerà la porta aperta al Movimento Cinque Stelle, un gruppo che incolpa la moneta unica dei guai economici dell’Italia. La sensazione che si sta diffondendo è che l’Italia stia avendo scarso beneficio dall’accumularsi dei rischi nell’eurozona, ma che al contrario venga danneggiata dai molti vincoli che è costretta a rispettare; dalla sua impossibilità di darsi alla svalutazione per rafforzare la sua crescita, da un fiscal compact che imprigiona il suo bilancio e adesso da regole sul bail-in che sono giunte dopo che altri paesi hanno salvato le loro banche. Se gli italiani dovessero mai perdete la fede nell’euro, la moneta unica non sopravviverà.

Effetto domino post-Brexit: la prossima sarà l’Italia?

Non c’è motivo di seguire le regole alla lettera, se farlo conduce alla scomparsa della moneta unica. Quindi la risposta corretta è di permettere al governo italiano di imbottire i cuscini del capitale delle loro banche vulnerabile con abbastanza denaro pubblico per placare i timori di una crisi sistemica. Un salvataggio simile dovrebbe arrivare a delle condizioni: una ristrutturazione del sistema bancario italiano che obblighi i pesci piccoli alla fusione e che tagli le spese generali chiudendo la profusione di succursali del paese. Per dare alla direttiva europea sul bail-in una probabilità più grande di essere implementata nel futuro, dovrebbe essere cambiata in modo tale che gli investitori individuali vengano protetti chiaramente.

Più probaile un qualche tipo di soluzione grossolana. Si parla già di una clausola nelle regole sul bail-in che può tornare utile e che permetterebbe un’iniezione temporanea di capitale per Monte dei Paschi. Potrebbe essere abbastanza per porre un limite sotto i prezzi delle azioni così che le altre banche italiane, come UniCredit, possano aumentare il loro capitale privato.

L’Europa saluterà senza dubbio un simile risultato come un esempio di solidarietà basata sulle regole. Ma se la storia è di qualche aiuto, non rimetterà in sesto le banche italiane né risolverà alcuno dei problemi che stanno alla base del blocco. Una lezione del Brexit è che sorvolare sulle preoccupazioni degli elettori non è una strategia sostenibile.

La mal costruita architettura finanziaria dell’eurozona lo fa due volte, aggirando le paura degli abitanti dei paesi creditori e debitori. Ciò non funzionerà per sempre, il che è il motivo per cui gli investitori hanno ragione a essere così preoccupati.

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