Da quando i cittadini britannici hanno votato per lasciare l’Unione europea, il cosiddetto referendum “Brexit” ha creato così tanto scalpore che l’attenzione del pubblico si è concentrata sempre di più su un’opzione estrema: possono uscirne?
Lunedì il primo ministro David Cameron ha detto che considerava il referendum vincolante e che “il processo di implementazione della decisione nel miglior modo possibile deve iniziare adesso.” Ma ha anche detto che lascerà quel processo al suo successore, dopo le sue dimissioni attese in ottobre. Questo apre una finestra di almeno quattro mesi durante i quali la Gran Bretagna potrebbe decidere di non procedere ed evitare le conseguenze da parte dell’Europa.
Se il prossimo primo ministro fa scattare il processo di uscita, la Gran Bretagna ha due anni per negoziarne i termini. Anche se le regole dell’Unione europea dicono che l’adesione è revocata automaticamente alla fine di quel periodo, la Gran Bretagna potrebbe teoricamente usare il tempo a disposizione per negoziare un piano alternativo.
Il paese ha poche opzioni su come, durante queste due finestre, poter rimanere nell’Unione europea. Ognuna porta con sé rischi e svantaggi significativi, sia per l’Europa che per la Gran Bretagna stessa; ma, di nuovo, vale lo stesso per quanto riguardo l’abbandono dell’Ue.
Opzione numero 1: Non farlo e basta
Il referendum non è legalmente vincolante. Il processo di lasciare l’Ue non inizia fino a quando il primo ministro invoca ufficialmente l’articolo 50 del trattato sull’Unione europea. Quindi lui o lei, in teoria, potrebbe andare avanti come se il voto non fosse mai avvenuto.
Lo stesso Cameron ha già causato un ritardo rifiutandosi di invocare l’articolo 50. Dei suoi due più probabili successori nel Partito Conservatore, Theresa May si oppone all’uscita dall’Unione e Boris Johnson, uno dei principali sostenitori del Brexit, sta già facendo retromarcia, dichiarando lunedì che le modifiche “saranno attuate senza fretta.”
La maggior parte dei membri del parlamento si sono opposti al lasciare l’Unione, e potrebbero supportare un primo ministro che si è rifiutato di invocare l’articolo 50. Ma ciò vorrà dire invalidare la volontà di 17,4 milioni di britannici che hanno scelto di andar via, un passo estremo in un paese che si fa vanto dei valori democratici.
Rischierebbe inoltre di infiammare le forze politiche che hanno portato alla vittoria del “Leave”: rabbia populista crescente, sfiducia in istituzioni governative apparentemente inaffidabili e la convinzione che il sistema sia marcio.
È difficile prevedere come gli elettori pro-Brexit risponderebbero se il loro governo ignorasse il risultato del referendum, ma una mossa simile rischia di dare maggiore potere alle voci più estreme. La politica britannica, già nel caos, affronterebbe un futuro incerto, così come i deputati che vorranno farsi ri-eleggere.
Opzione numerio 2: Un veto scozzese
La Camera dei Lord ha detto in un rapporto in aprile che ogni decisione di uscire dall’Unione europea dovrebbe essere approvata dai parlamenti di Scozia, Irlanda del Nord e Galles.
Gli elettori gallesi hanno votato a favore del Brexit e il parlamento dell’Irlanda del Nord è guidato da un partito che è a favore dell’abbandono dell’Ue. Ma gli elettori scozzesi si sono opposti a grande maggioranza, così come il Partito Nazionale Scozzese al governo, che ha giurato di servirsi di qualsiasi misura disponibile pur di rimanere nel blocco.
Nicola Sturgeon, il primo ministro scozzese, ha suggerito che il suo parlamento potrebbe negare il consenso, dando luogo a una crisi costituzionale.
Quella potrebbe essere un’opportunità per i leader che vogliono evitare un Brexit. Il prossimo primo ministro potrebbe dire agli elettori di voler compiere la loro volontà, ma che lasciare l’Unione è impossibile senza l’approvazione della Scozia.
Ciò offre almeno un accenno di maggiore legittimità politica invece trascurare semplicemente il referendum.
Ma se l’intento del prossimo primo ministro britannico è di portare a termine il Brexit, il parlamento britannico potrebbe abrogare la legge che da alla Scozia potere di veto. La Sturgeon risponderebbe probabilmente chiedendo un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia - qualcosa che ha già minacciato di fare qualora la Gran Bretagna lasciasse l’Unione.
Opzione numero 3: Una seconda possibilità
Nel 1992, gli elettori danesi hanno respinto per pochi voti un referendum sull’unirsi a uno dei trattati alla base dell’Unione europea. Undici mesi dopo, dopo una spruzzata di diplomazia, la Danimarca ha tenuto un secondo referendum, che gli elettori approvarono.
Scenari simili si verificarono nel 2001 - e nuovamente nel 2008 - quando gli elettori irlandesi hanno respinto i trattati dell’Unione europea prima di adottarli nel corso di secondi referendum negli anni seguenti.
Gli elettori britannici potrebbero fare retromarcia allo stesso modo? Da lunedì, quattro giorni dopo il voto del Brexit, una petizione online che chiede una ripetizione del referendum ha ottenuto 3,8 milioni di firme.
Ma ci sono poche ragioni per credere che un secondo referendum, fosse tenuto oggi, produrrebbero un risultato diverso. Anche se alcuni cittadini britannici hanno detto sui social media di essersi pentiti di aver votato a favore di un’uscita dall’Unione, i sondaggi mostrano che si tratta una piccola minoranza. Un sondaggio di ComRes, tenutosi sabato, ha rilevato che solo l’1% degli elettori del “Leave” erano scontenti dei risultati (Il Brexit ha vinto di quattro punti percentuali, 52 a 48).
I leader britannici potrebbero giustificare un secondo tentativo assicurandosi delle concessioni speciali da parte dell’Unione europea, come permettere alla Gran Bretagna di mettere un limite all’immigrazione. Questo è stato l'approccio col quale i capi di stato danesi e irlandesi hanno persuaso i loro elettori ad approvare i referendum che avevano respinto in precedenza.
Johnson, che lunedì ha detto in un commento sul Telegraph che la Gran Bretagna era “parte dell’Europa e lo sarà sempre” ha suggerito prima del voto che potrebbe seguire questa strategia.
“C’è solo un modo di ottenere il cambiamento di cui abbiamo bisogno ed è votare per andarsene. Tutta la storia dell’Unione europea mostra che ascoltano una popolazione solo quando dice No.”
Un secondo voto permetterebbe ai politici di dichiarare di aver seguito la volontà degli elettori e affrontato l’Unione europea, evitando sia l’indignazione populista e le conseguenze negative economiche e diplomatiche di un’uscita da parte della Gran Bretagna.
I leader europei, ad ogni modo, potrebbero non essere d’accordo. Qualora ogni stato membro potesse ottenere concessioni speciali se minaccia di andarsene, la capacità dell’Unione di realizzare politiche valide per tutta l’Europa potrebbe indebolirsi . Inoltre dà agli altri stati un incentivo a fare il gioco del coniglio con i referendum sull’uscita, un gioco pericoloso che potrebbe terminare facilmente in un disastro.
C’è anche un rischio che gli elettori britannici respingano pure il secondo referendum. Se succedesse, non ci sarebbe veramente modo di tornare indietro.
Opzione numero 4: Un’uscita solo di nome
L’articolo 50 concede a un paese in uscita due anni per negoziare i termini della sua relazione con l’Unione, su problemi come mercato e immigrazione.
Che succederebbe se la Gran Bretagna stringesse una serie di accordi che preservassero lo status quo, solo senza l’appartenenza formale all’Unione europea?
Anche questo sembra qualcosa a cui Johnson sta pensando. In un articolo sul Telegraph di domenica, ha promesso che la Gran Bretagna manterrà il libero mercato e gli accordi di libero spostamento con l’Europa.
Come Rafael Behr, editorialista per il Guardian, ha fatto notare scherzando su Twitter: “Conosciuta anche come ‘adesione all’Unione europea.”
Un modello è la Norvegia, che non è membro dell’Unione europea ma aderisce al suo mercato comune e ai confini aperti.
Gli attivisti a favore del “Leave” hanno enfatizzato due obiettivi: ridurre l’immigrazione e togliere la Gran Bretagna dalla burocrazia europea. Anche se un accordo simile a quello norvegese potrebbe, in teoria, limitare l’immigrazione, finire col peggiorare l’assoggettamente britannico alle politiche europee.
Se la Gran Bretagna sceglie questa strada, “non avrà diritto di veto né presenza quando saranno prese le decisioni cruciali che influenzano le vite giornaliere dei suoi cittadini” ha avvertito il primo ministro norvegese Espen Barth Eide lo scorso anno.
Inoltre un accordo simile richiederebbe alla Gran Bretagna di continuare a pagare imposte sull'adesione all'Ue, che gli attivisti a favore del “Leave” avevano promesso di cancellare.
Nicolas Véron, un economista francese, ha scritto sul sito di Bruegel, un gruppo di ricerca di Bruxelles, che i leader europei probabilmente si opporrebbero pure a questo accordo, per paura di stabilire un brutto precedente.
Questi leader, ha detto, vogliono mandare un messaggio “chiaro e senza ambiguità” agli altri stati membri: se lasci l’Unione, non verrai premiato con un accordo favorevole che ti permetterà di mantenere i benefici dell’adesione all’Ue senza gli oneri. Otterrete una rottura difficile e dolorosa, quindi pensateci bene.