Il vero problema della Grecia non è il debito
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La Grecia continua a mantenere un modello economico fallimentare. In questo contesto, la cancellazione del debito è una questione secondaria.

La Grecia viene regolarmente esibita come Reperto Numero Uno nel processo contro l’Unione europea. La sua crisi durata sei anni - che adesso minaccia di riaccendersi appena prima del referendum britannico sulla permanenza nell’Ue - spesso presentata come la prova che l’Ue sia un bullo anti-democratico, che distrugge la sovranità e ama l’austerità.

Ma questa narrativa manca il nocciolo della questione.

Il punto di partenza per qualsiasi dibattito sta nel riconoscere che la maggior parte dei problemi della Grecia risiedono nella Grecia stessa, che nei decenni precedenti la crisi ha abbracciato un modello economico catastroficamente insostenibile e che da allora si è rifiutata di cambiarlo.

Certo, sono stati commessi degli errori nel configurare il primo bailout: sarebbe stato meglio per la Grecia, se non per l’eurozona, se il debito dell’eurozona fosse stato ristrutturato nel 2010 invece che nel 2012. Ed è vero che gli obiettivi del programma fiscali sono stati impegnativi, come sempre quando un paese è obbligato ad affidarsi ai contribuenti di altri paesi per coprire il loro debito e raccogliere fondi per il loro stato. Ma la Grecia ha avuto sempre piena sovranità di scegliere come raggiungere quegli obiettivi - e gran parte delle calamità che si sono scatenate nascono da come i governi successivi hanno esercitato quella sovranità.

Durante gli anni, governi greci di sinistra e di destra hanno costruito un welfare state generoso e si sono prodigati nel proteggere numerosi gruppi di interesse, sostenendo la loro generosità attraverso prestiti imprudenti e imponendo tasse ancora più alte a una fascia sempre più ristretta di contribuenti. Quando la crisi è arrivata, Atene non ha abbandonato questo modello.

La mancanza di riforme

I funzionari del governo hanno continuamente dato priorità alla protezione dei lavori e degli stipendi del settore pubblico invece di spendere per attrezzature e medicine per gli ospedali o mantenerne l’infrastruttura fondamentale; hanno insistito nel preservare un sistema pensionistico che offre una pensione minima più alta che in Germania al posto di spendere soldi in educazione e formazione; hanno preservato un sistema di imposte sul reddito che esonera incredibilmente il 55% dei lavoratori (contro il 2% in Irlanda e il 4% in Portogallo) invece di facilitare la creazione di posti di lavoro per le imprese. Le vittime maggiori di queste scelte che hanno fiaccato la crescita sono stati i giovani, che hanno dovuto sopportare livelli altissimi di disoccupazione.

I creditori della Grecia si sono resi conto di questo problema tanto tempo fa. Ecco perché, quando hanno designato un secondo programma di salvataggi nel 2012, hanno provato di limitare la discrezione della Grecia per quanto riguarda le scelte e di essere più rigidi riguardo alle modifiche che la Grecia doveva implementare per avere diritto ad altri prestiti.

Hanno insistito che l’unico modo realistico che ha il paese di rimettere a posto le sue finanze sul binario della sostenibilità e di creare le condizioni di crescita per il settore privato era di allargare la base dei contribuenti, ristrutturare il settore pubblico e tagliare le pensioni che consumavano il 17% del budget annuale. Per gli ultimi quattro anni, i creditori hanno provato a obbligare i governi greci a rispettare questi impegni, usando l’unica leva che hanno nei confronti di Atena: la loro abilità di ritrarre i fondi per il bailout, mettendo il paese a rischio di un caotico default.

Quale esito?

Eppure anche questa pressione non è stata in grado di persuadere Atene a cambiare corso. Lo stallo attuale è una continuazione dello stesso scontro che ha portato alla caduta del precedente governo conservatore, due elezioni generali e un referendum lo scorso. Messa di fronte a un deficit di bilancio rispetto alle politiche precedenti, Atene ha continuato con un nuovo aumento delle tasse sui ricchi.

La differenza questa volta è che uno dei principali creditori della Grecia, il Fondo Monetario Internazionale, sta rifiutando di mettere la sua firma sul piano. Non crede infatti che le politiche proposte dalla Grecia produrranno il 3,5% di surplus promesso da Atene. La preferenza del Fmi sarebbe di abbassare l’obiettivo a un più realistico 1,5% ma si tratta di qualcosa di politicamente dannoso per gli altri paesi dell’eurozona, così il Fmi sta insistendo su misure d’emergenza che devono includere le riforme evitate a lungo.

In questo contesto, il dibattito sulla cancellazione del debito è una questione di secondo piano. Nessuno crede che il debito della Grecia sia sostenibile, tranne sotto gli auspici più ottimistici. Nessuno pensa che Atene ripagherà acun debito negli anni a venire. Nessuno pensa che la Grecia riuscierà a sostenersi nel mercato per decenni.

La ragione principale per cui la cancellazione del debito è importante - oltre che concedere ad Atene un premio politico simbolico - è che il Fmi può solo concedere prestiti se pensa che il paese riguadagnerà l’accesso al mercato alla fine del programma, un esito sembra molto improbabile senza che ci sia chiarezza per quanto riguarda il peso del debito a lungo termine. Per far sì che il Fmi partecipi al bailout - una condizione necessaria posta dalla Germania per i futuri pagamenti - deve essere trovata una formula in equilibrio tra le necessità del Fmi e il desiderio della Germania di mantenere una leva sufficiente per assicurarsi che Atene non ritorni alle sue vecchie abitudini.

Ma mentre questa settimana i ministri dell’economia dell’eurozona si sono accordati per iniziare a discutere della cancellazione del debito - una concessione da parte della Germania che aveva insistito in precedenza sul fatto che simili discussioni dovessero tenersi dopo un accordo sulle riforme della Grecia - questo è un problema per un altro giorno.

Il vero dramma resta lo stallo continuo di quattro anni sulle riforme, che può solo terminare in due modi: o la Grecia decide finalmente di abbandonare il suo modello economico fallito o la Germania deve abbandonare la sua insistenza sulla partecipazione del Fmi nel programma di bailout, quindi permettendo all’eurozona di dare ad Atene abbastanza denaro per arginare le sue sfide di liquidità nel breve termine - in altre parole, rimandare qualsiasi risoluzione a lungo termine della crisi. L’alternativa è un’altra crisi del debito per la Grecia nel bel mezzo del referendum di giugno da parte della Gran Bretagna sul decidere se restare all’interno dell’Ue.

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