Che lo scontro abbia inizio
AP Photo/Nati Harnik
Pagina principale Analisi, Elezioni USA 2016, USA

L’establishment non è in grado di attrarre voti nè di contrastare i candidati populisti e anti-sistema.

I pesi massimi sono entrati nel ring. Le invettive sono al culmine. Il 1° febbraio, gli abitanti dell’Iowa si riuniranno in un caucus, nel girone d’apertura della lotta presidenziale americana. Appena una settimana più tardi, gli elettori si incontreranno nel New Hampshire. Da lì, il 1° marzo la competizione si muoverà verso il Super Tuesday e oltre a questo alle conferenze di luglio. È il più grande torneo elettorale del mondo. Non sarà pianificato.

In America, le élite politiche e gli elettori moderati sono in uno stato d’incredulità. Hillary Clinton, che fa parte del sistema quanto il Monumento a Washington, è sotto la pressione di Bernie Sanders, un irritabile senatore di Vermont che si definisce un democratico socialista. La ragionevole squadra sulla destra – “Jeb!” Bush, Marco Rubio, John Kasich e altri – è stata impalata dalle battutine pungenti di Ted Cruz e travolta dalle diatribe sterminate e tumultuose di Donald Trump.

La scelta doveva essere tra un Bush e un Clinton – più un’incoronazione, che un’elezione. Al contrario, la corsa per la carica più potente del mondo è stata capovolta in modo più drastico da parte di esterni di qualsiasi altra campagna presidenziale degli ultimi cinquant’anni. America, cosa diavolo sta succedendo?

Più grande e più sfacciato

Gli Stati Uniti non sono l’unico paese in cui l’establishment è messo all’angolo. Il partito laburista del Regno Unito è asservito a un uomo ben più a sinistra di Sanders. Nella prima fase delle recenti elezioni regionali della Francia, il Fronte nazionale di estrema destra ha ottenuto il maggior numero di votazioni. I populisti sono in testa ai sondaggi nei Paesi bassi e al governo in Polonia e Ungheria. Nella Svezia politicamente corretta, i nativisti hanno il 30% di popolarità.

Come gli elettori di tutto l’occidente, gli americani sono arrabbiati – spesso per gli stessi motivi. Per anni la maggior parte di essi ha ripetuto ai sondaggisti che il paese stesse andando nella direzione sbagliata. I salari medi hanno registrato una stagnazione anche se i redditi massimi sono aumentati vertiginosamente. Timori culturali aggravano quelli economici: nel 2015 un sondaggio di Pew ha rilevato che i cristiani bianchi sono diventati una minoranza in America. E negli ultimi mesi, la paura del terrorismo ha aggiunto un ingrediente minaccioso al miscuglio populista.

Sebbene le tendenze siano comuni, il populismo in America è particolarmente potente. L’Europa si è abituata al relativo declino. Come unica superpotenza, l’America ha sofferto per l’ascesa della Cina e per la diffusione del jihadismo dalle parti del Medioriente, che aveva versato sangue e ricchezze nel tentativo di portare la pace. Quando Trump promette di “rendere l’America nuovamente grande” e Cruz giura che la sabbia di Iraq e Siria “brillerà al buio”, questi stanno rievocando il momento, dopo la caduta dell’Unione sovietica, in cui l’America godeva di potere illimitato.

Un secondo motivo è che, in America, gli outsider fanno incanalare la rabbia popolare in un duopolio politico. In Europa Trump e Sanders avrebbero i loro partiti di protesta, che inevitabilmente lotterebbero per ottenere l’alta carica. Invece, il sistema bipartitico americano ha risucchiato Sanders, che si è unito ai democratici lo scorso anno, e Trump, che si è ricongiunto con i repubblicani nel 2009. Se vincessero le primarie, controllerebbero le macchine politiche progettate per catapultarli alla Casa bianca.

E una terza spiegazione concernente ciò, è che le élite non possono gestire facilmente la turbolenta democrazia americana. Le insurrezioni populiste sono presenti in un codice di origine di un sistema di governo che inizia come rivolta contro una élite distante e dispotica. Il collegio elettorale trasferisce il potere dal centro. Le primarie attraggono il 20% degli aventi diritto più coinvolti dalla politica. I candidati abbienti – con riferimento a lui stesso nel caso di Trump e di qualcun altro per Cruz – possono prendersi gioco dell’alto comando del loro partito.

Per questo motivo i populisti e i candidati contro il sistema fanno frequenti apparizioni durante le presidenziali americane. Ma mentre l’elettrizzante spettacolo fa il suo corso e gli elettori giungono con riluttanza a un compromesso con la realtà, questi tendono a svanire.

Ciò solitamente avviene all’inizio (Pat Buchanan, un’agitatrice repubblicana che aveva promesso una “rivolta col forcone” nel 1996, vinse le primarie nel New Hampshire, ma finì fuori dalla corsa alla fine di marzo). Nei rari casi in cui gli insorti hanno ottenuto la nomina, questi sono poi crollati durante le elezioni generali: Barry Goldwater perse 44 dei 50 stati nel 1964. Anche coloro che si sono presentati come indipendenti (come fece Ross Perot nel 1992), hanno fallito – ciò non sarebbe un buon auspicio per un candidato autofinanziato come Michael Bloomberg.

Per i democratici, è probabile che la storia si ripeterà nel 2016. Anche se vincesse nell’Iowa e nel New Hampshire, è difficile poter vedere Sanders prosperare mentre la corsa si sposta al sud fortemente delegato. La Clinton ha soldi, esperienza e supporto da parte dei democratici neri. I sondaggi nazionali la mettono in vantaggio di 15 punti.

Ma questa volta potrebbe essere diverso per i repubblicani. L’impennata di Goldwater giunse tardi; Trump ha incantato le folle ed è stato ricompensato nei sondaggi da luglio. Alcuni eminenti repubblicani che detestano Cruz anche più di quanto disprezzano Trump sono rimasti indietro rispetto al miliardario. Forse quando arriverà il giorno le persone non si presenteranno per nessuno di loro; forse entrambi getteranno abbastanza vetriolo da distruggersi l’un l’altro; forse ciò che resta dei 100 milioni di dollari dell’arsenale di Bush lascerà all’élite il tempo di contrattaccare. Ora come ora, entrambi i populisti hanno la possibilità di combattere al convegno e persino, salvo un accordo segreto dell’istituzione, di vincere la nomina.

Un paese diviso

Né Trump né Cruz offrono politiche economiche coerenti o prudenti. E non passano nemmeno la prova di carattere. Tuttavia, trovandosi semplicemente al ballottaggio a novembre entrambi arriverebbero vicini alla presidenza.

Le elezioni generali sono diventate una questione del 50/50, determinata da alcuni voti in un gruppo ristretto di stati. La Clinton non è una brava candidata: Trump e Cruz lo sono. Nella misura in cui dispone di politiche, Trump attinge liberamente dalla destra e dalla sinistra. Potrebbe ottenere voti virando spudoratamente verso il centro. In un testa a testa, un attacco terroristico o uno scandalo vicini alla giornata elettorale potrebbero essere decisivi.

Il pessimismo riguardo all’America è fuori luogo. L’economia è in forma migliore rispetto a quella di qualsiasi altro paese grande e ricco; il tasso di disoccupazione è basso, così come quello dei crimini violenti. Ma i principali repubblicani hanno messo alla gogna Barack Obama con tale trasporto che stanno cercando di rispondere a Trump e Cruz. Se qualcuno dovesse dispiacersi dello spettacolo che sta per svolgersi, questi sono loro.

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