La fortezza scandinava chiude le sue porte agli immigrati
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I controlli alle frontiere colpiscono tutte le vie di comunicazione, dal sistema ferroviario ai traghetti.

Viaggiando al di sopra del Mar Baltico, all’ombra di piloni che svettano a 200 metri di altezza, un tempo il transito pendolare lungo il più esteso collegamento ferroviario e stradale d’Europa era un simbolo di integrazione all’interno della regione.

Ma per molte delle 15 mila persone che quotidianamente attraversano il ponte di Øresund che collega Copenaghen con Malmö, la terza città della Svezia, il pendolarismo da e per i luoghi di lavoro è diventato molto più complicato. Lunedi scorso la Svezia ha imposto controlli di identificazione per le persone intenzionate a entrare mediante strade, ferrovie e traghetti dopo che il paese è stato travolto da un flusso record di rifugiati.

AP Photo/Thanassis Stavrakis

Questo nuovo sviluppo “non si addice ad alcuna visione futura che riguardi la regione di Øresund,” ha dichiarato in un’intervista Ole Stavad, ex ministro socialdemocratico danese che in passato fu responsabile della cooperazione scandinava. “La cosa non ha a che fare solo con Øresund, Copenaghen, Malmö o Scania. Riguarda tutta la Svezia e la Danimarca.” Per entrambi i paesi Stavad vede profilarsi all’orizzonte sofferenze economiche, “fino a quando il problema non sarà risolto.”

Se nemmeno la Svezia e la Danimarca riescono ad andare d’accordo, non si preannuncia nulla di buono nemmeno per il resto dell’Europa che, oggi più che mai, è alle prese con l’onnipresente minaccia del terrorismo, il ritorno in auge dei nazionalismi e le difficoltà nella crescita economica.

E gli effetti a catena stanno già iniziando a manifestarsi. Dodici ore dopo l’entrata in vigore in Svezia degli accertamenti sull’identità, la Danimarca ha introdotto controlli a campione lungo i suoi confini con la Germania, mettendo così a rischio la libera circolazione prevista dalla convenzione di Schengen. La decisione, che non è ancora stata approvata da chi veglia sugli accordi di Schengen, l’Unione Europea, non è piaciuta a Berlino.

In Scandinavia volano le accuse reciproche. I danesi sostengono di essere stati obbligati a imporre le proprie misure a seguito di un’intensificazione dei controlli da parte della Svezia. Gli svedesi incolpano la Danimarca di non avere fatto la sua parte nell’accoglienza dei rifugiati. La Svezia ha ricevuto circa 163 mila richieste di asilo nel 2015, mentre la Danimarca solo 18.500.

I controlli gravano come un peso inaspettato sulle spalle dei lavoratori, attratti dall’idea di un’area internazionale di 3,7 milioni di abitanti dedicata al business. Il gruppo di esperti dell’Øresund Institute, con sede a Malmö, stima che il costo dei controlli giornalieri solo sui pendolari si aggiri intorno agli 1,3 milioni di corone (190 mila dollari). Le ferrovie danesi DSB fanno sapere che ammontano a un milione di corone le perdite in termini di biglietti non venduti e spese di viaggio attraverso il ponte reso famoso dalla celebre serie televisiva “The Bridge” ambientata in Scandinavia.

“Ora è difficile dire cosa comporteranno per Schengen questi controlli alle frontiere", ha dichiarato lunedì in un’intervista il Ministro della Giustizia svedese Morgan Johansson. Ma con i rifugiati tuttora in transito e in seguito agli attacchi terroristici di Parigi, “è importante per noi assumere il controllo sulle modalità di spostamento delle persone all’interno dell’area Schengen,” ha affermato.

Vecchi amici

Sebbene l’idea di collegare la capitale della Danimarca con Malmö fosse vecchia di secoli, l’accordo per la costruzione del ponte di Øresund risale solo al 1991. Inaugurato nove anni più tardi, il progetto da 30 miliardi di corone beneficiò di finanziamenti UE e presto divenne il simbolo della cooperazione europea e scandinava.

Quella era un’epoca in cui il dialogo tra i vicini del nord Europa riusciva sempre a sconfiggere le “faide personali”, afferma Stavad.

“Il progetto Øresund sino a questo momento è stato un successo. Se questo problema delle frontiere non verrà risolto tutto ciò che finora è stato conquistato verrà distrutto o, nella migliore delle ipotesi, si fermerà il processo di integrazione all’interno della regione.”

La risposta da parte della Danimarca alla crisi dei rifugiati ha anche innescato un profondo esame di coscienza, alla luce delle critiche che le rigide leggi sull’immigrazione e sull’asilo hanno attirato su di sé. Un paese orgoglioso di avere salvato i suoi cittadini ebrei nel corso della Seconda Guerra Mondiale viene oggi paragonato alla Germania nazista, a causa della proposta di confiscare ai richiedenti asilo gioielli, denaro contante e altri beni di valore.

Il primo ministro danese Løkke Rasmussen ha inoltre auspicato la modifica di uno dei pilastri della cooperazione postbellica: la Convenzione sui Rifugiati delle Nazioni Unite, in vigore dal 1951.

L’esercito, nel frattempo, sta facendo la sua parte mentre le unità di polizia presenti nel paese vengono trasferite a pattugliare la frontiera con la Germania, rivela l’emittente statale DR. Molti danesi diranno che il cambio di atteggiamento nei confronti degli stranieri ebbe inizio poco dopo l’inaugurazione del ponte di Øresund, quando l’allora primo ministro Anders Fogh Rasmussen – che divenne poi Segretario Generale della NATO – ruppe decenni di egemonia socialdemocratica dando vita a un governo con il supporto del Partito Popolare Danese.

Vent’anni dopo essere stato fondato con il dichiarato obiettivo di “preservare il retaggio danese”, il PPD divenne il partito di maggioranza più importante del paese in seguito alle elezioni del giugno 2015. Il partito liberale di Løkke Rasmussen è il secondo per importanza all’interno della maggioranza quadripartitica.

Mentre i movimenti xenofobi prosperano in tutta Europa, il Partito Popolare Danese potrebbe essere preso come modello visto il suo successo nello stabilire un’agenda politica senza in realtà essersi unito al governo. Lo scorso anno, minacciando di far venire meno il suo sostegno, è riuscito persino a obbligare il premier a fare dietrofront sulla promessa di accogliere più rifugiati fatta alla cancelliera tedesca Angela Merkel. Da allora il governo ha stabilito un giro di vite alle norme per la richiesta di asilo e la riunificazione dei nuclei familiari.

Politiche di questo tipo non sono affatto popolari a livello economico: il mondo produttivo danese si è lamentato, sostenendo che gli stranieri sono fondamentali per il sostegno alla crescita economica. Secondo un recente studio della Confederation of Danish Industry, tra il 2010 e il 2014 la creazione di valore è cresciuta di 34 miliardi di corone, di cui 24 provenienti dai lavoratori stranieri.

“Gli immigrati sono indispensabili per la crescita della Danimarca – tanto oggi quanto in futuro,” ha dichiarato Kim Graugaard, direttore generale della confederazione industriale. “Dal 2010 a oggi, sono ascrivibili proprio agli stranieri i due terzi dell’intero progresso compiuto dalla Danimarca.”

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