La guerra per il petrolio
ITAR-TASS/Stanislav Krasilnikov
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L'Arabia Saudita sta cercando di strappare il mercato europeo alla Russia.

La banca centrale della Russia recentemente ha segnalato i rischi finanziari crescenti per l’economia russa a causa dello sconfinamento dell’Arabia Saudita nei suoi mercati di esportazione di petrolio greggio tradizionale. La Russia manda il 70% del suo petrolio in Europa, ma l’Arabia Saudita ha fatto incursione sul mercato europeo nel mezzo del calo dei prezzi del petrolio.

Il risultato è uno sconto più alto sul petrolio greggio della Russia, chiamato Urals blend, la miscela degli Urali. Bloomberg ha riportato che Urals in genere arriva a Rotterdam, un’importante destinazione europea, e viene scontato a Brent di circa 2 dollari o meno. Però lo sconto ultimamente è salito a 3,50 dollari a causa dell’aumento della competizione con l’Arabia Saudita.

Così la banca centrale russa in un rapporto recente:

“La fornitura di petrolio dall’Arabia Saudita all’Europa ha probabilmente influenzato sfavorevolmente i prezzi del petrolio Urals”.

I funzionari russi hanno accusato l’Arabia Saudita di “scaricare” il suo petrolio in Europa, una mossa che, dice il capo della Rosneft, Igor Sechin, si “ritorcerà contro”.

Il crollo nei prezzi di greggio, ha colpito l’economia della Russia, accentuato dal giro di vite delle sanzioni dell’Occidente. L’economia russa potrebbe contrarsi del 3,2% quest’anno.

Le esportazioni di petrolio rappresentano circa la metà delle entrate adottate dal governo russo. Con un’economia così dipendente dal petrolio, non sorprende che il precipitare dei prezzi di petrolio greggio abbia generato un drammatico deprezzamento del rublo. Anche se nel corso dell’ultimo mese la valuta ha riguadagnato terreno, la debolezza della valuta ha fatto alzare l’inflazione, creando uno stallo per la banca centrale russa.

Per impedire al rublo di crollare ulteriormente e per evitare che l’inflazione inneschi una continua spirale al rialzo, la banca centrale russa ha agito energicamente aumentando i tassi di interesse fino al 17% all’inizio del 2015. Questo però ha avuto un impatto negativo sull’economia. Una volta che il rublo si è stabilizzato, la banca ha riportato il tasso di interesse indietro all’11%, dove si trova oggi.

In risposta alle dure circostanze finanziarie in cui si è ritrovata la Russia, non c’è stata altra scelta che spremere la maggior quantità di petrolio possibile dai suoi vecchi campi. Finora, si è ottenuto un parziale successo. La produzione di petrolio russa prevede di aumentare solo di 70mila barili al giorno nel 2015, raggiungendo una media di 10,75 milioni di barili al giorno (mb/d) nel corso dell’anno. La produzione ha raggiunto un record post-sovietico di 10,78 mb/d a ottobre, secondo l’ultimo rapporto mensile dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio).

Tuttavia, i vantaggi della produzione di petrolio della Russia sono limitati. Il governo russo ha bisogno di entrate, quindi non desidera ridurre le tasse. Il governo sta considerando di ritardare il taglio programmato delle tasse di esportazione, che, secondo l’OPEC, potrebbe costare alle compagnie petrolifere da 2 a 3 miliardi di dollari in più in tasse. Questo potrebbe incidere moderatamente nella produzione di petrolio russa complessiva, forse facendo cadere la produzione da 0,1 a 0,2 mb/d. In ogni caso, la Russia probabilmente non può spingere oltre la produzione. L’OPEC prevede che la produzione di petrolio della Russia rimarrà stabile per tutto il prossimo anno.

Globalmente, la competizione tra gli esportatori di petrolio non si allenterà a tempi brevi. Ci sono ancora troppi barili di greggio in circolazione. L’OPEC prevede che la scorta non-OPEC si contrarrà solo di 0,13 mb/d nel 2016, una cifra abbastanza irrilevante se si considerano i tagli esagerati negli investimenti e nell’attività di trivellazione.

Malgrado il fatto che i funzionari dell’OPEC mostrino regolarmente coraggio in pubblico, insistendo che i mercati si ristabilizzeranno relativamente presto, i numeri dell’OPEC raccontano una storia diversa. Il cartello vede la shale degli USA contrarsi di solo 100 mila barili al giorno nel 2016 rispetto al 2015, un volume quasi controbilanciato da diversi nuovi progetti che inizieranno le operazioni nel Golfo del Messico.

E quindi ritorniamo all’Europa. L’Arabia Saudita potrebbe continuare il gioco più a lungo, intensificando la sua strategia di quote di mercato sconfinando sul mercato tradizionale della Russia in Europa. Un aumento di petrolio saudita in flusso verso l’Europa minaccia di indebolire il mercato principale della Russia. Nel suo rapporto di novembre, l’OPEC ha riferito che lo sconto di Urals a Brent “è quasi triplicato a ottobre nel mezzo di abbondanti scorte, incurvando i margini di raffineria e larga disponibilità di gradi alternativi dal Medio Oriente”.

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