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Un conflitto nucleare tra India e Pakistan potrebbe rivelarsi catastrofico per tutto il pianeta.

“Fenicottero rosa” è il termine recentemente coniato da Frank Hoffman per descrivere quegli eventi prevedibili ma ignorati che possono produrre risultati disastrosi. Hoffman sostiene che queste situazioni siano totalmente evidenti, ma quasi interamente ignorate dai policymaker. I fenicotteri rosa si pongono in forte contrasto con i “cigni neri” – gli sconvolgimenti imprevedibili, persino impensabili i cui esiti potrebbero essere interamente sconosciuti.

Il teso impasse nucleare tra India e Pakistan potrebbe essere il fenicottero rosa più pericoloso del mondo odierno.

Il subcontinente indiano – territorio sia dell’India che del Pakistan, resta tra le zone più pericolose del mondo e continua a presentare una profonda minaccia alla stabilità globale e all’attuale ordine mondiale. Il loro confine di 1.800 miglia è l’unico posto al mondo in cui due stati ostili e dotati di armi nucleari si affrontano ogni giorno. E negli ultimi anni il rischio di un conflitto nucleare non ha fatto che aumentare, al punto che adesso è diventato una possibilità fortemente reale.

Da quando hanno ottenuto l’indipendenza nel 1947, l’india e il Pakistan hanno combattuto tre guerre, di cui una conclusasi nel 1971 in cui il Pakistan ha perso circa metà del suo territorio (l’attuale Bangladesh). Oggi, la linea di confine contesa che divide la contestata regione del Kashmir rimane un forte punto critico.

Sia la crisi del Kargil del 1999 che l’attacco al parlamento indiano da parte di militanti sostenuti dal Pakistan avvenuto nel 2001 hanno portato entrambe le nazioni ancora una volta sull’orlo della guerra. Eppure, a differenza delle grandi guerre precedenti, queste due crisi sono avvenute dopo che sia l’India che il Pakistan sono divenuti due stati dotati di armi nucleari. Il rapido ed efficace intervento diplomatico ha giocato un ruolo centrale, evitando che ogni crisi sfociasse in un conflitto più ampio.

Oggi questi rischi sono persino più alti e pericolosi.

A partire dal 2004, l’India ha sviluppato una nuova dottrina militare chiamata Partenza a Freddo, una scelta di guerra circoscritta destinata in gran parte a evitare che Islamabad promuova attacchi anomali contro Nuova Delhi. Questa include una consueta veloce rappresaglia in seguito ad ogni attacco del genere, lanciando un quantitativo di rapidi attacchi armati verso il Pakistan e mettendo rapidamente in sicurezza obiettivi limitati che restano ipoteticamente sotto il confine nucleare del Pakistan.

Coerentemente con questa dottrina, le forze armate indiane devono mobilitare mezzo milione di truppe in meno di 72 ore.

Il problema è che, a differenza delle vicine India e Cina, il Pakistan non ha rinunciato all’utilizzo primario delle armi nucleari. Piuttosto, i leader pakistani hanno dichiarato che potrebbero dover utilizzare le armi nucleari per prima cosa al fine di difendersi contro un attacco convenzionale da parte dell’India. Pertanto, sia per rispondere alla dottrina di Partenza a Freddo, che per contribuire a controbilanciare la crescente usuale superiorità dell’India, il Pakistan ha accelerato il suo programma di armi nucleari – e ha iniziato a schierare armi nucleari tattiche a corto raggio e a bassa resa. Alcuni osservatori ritengono che questo programma sia quello in più rapida crescita del mondo. Secondo quanto affermato, nel 2020 il Pakistan avrà abbastanza materiale fissile da poter costruire più di 200 testate nucleari – più di quante il Regno Unito ha programmato di poter possedere per lo stesso periodo.

Non è semplicemente il ritmo dello sviluppo che dovrebbe causare preoccupazione. L’arsenale di armi tattiche nucleari a corto raggio del Pakistan è un elemento rivoluzionario in altri modi. Il Pakistan intende chiaramente utilizzare queste armi – sul proprio suolo, se necessario, al fine di controbattere alla dottrina di Partenza a freddo per improvvisi attacchi armati da parte dell’India. L’introduzione di queste armi ha alterato la geometria di lunga data tra le due potenze nucleari e ha aumentato il rischio di arrivare a un conflitto nucleare durante una crisi.

Oltre al rischio di una escalation nucleare fuori controllo, il crescente programma di armi tattiche nucleari del Pakistan porta inoltre un’ampia varietà di altre caratteristiche destabilizzanti a questo miscuglio già instabile:

  • la necessità di posizionare queste armi a corto raggio al confine con l’India, rendendole più vulnerabili all’interdizione;
  • la necessità di muovere e diffondere queste armi durante una crisi, segnalando così una minaccia nucleare;
  • la prospettiva che ai comandanti locali sia dato un controllo decentralizzato delle armi (un pericolo in stile “use it or lose it” qualora dovessero affrontare un’offensiva armata dell’India).

Inoltre, grossi quantitativi di piccole armi nucleari disseminati in varie località aumentano il rischio che alcune di queste possano finire in mano di estremisti violenti.

L’ottenimento del controllo di un’arma nucleare da parte di un gruppo terroristico resta una delle più spaventose conseguenze possibili dell’attuale corsa agli armamenti.

Lo scenario più pericoloso che potrebbe condurre a una catastrofe sarebbe probabilmente il ripetersi dell’attacco terrorista a Mumbai del 2008. Nel novembre di quell’anno, dieci terroristi lanciarono degli attacchi che provocarono la morte di 166 persone prima che l’ultimo degli assalitori venisse finalmente ucciso dalle forze di sicurezza indiane circa 60 ore dopo l’inizio degli attacchi. A quel tempo c’era una chiara prova che gli assalitori fossero pakistani e appartenessero a un gruppo militante supportato dal Pakistan. In India ci furono grande indignazione pubblica e umiliazione.

Soltanto attraverso la combinazione della pressione diplomatica da parte degli USA e della grande moderazione esercitata dall’allora primo ministro indiano Manmohan Singh si è evitato un attacco di rappresaglia indiano.

Le possibilità di tale moderazione da parte del governo indiano in un fatale scenario futuro di questo genere sono improbabili. Esperti come Stephen Cohen della Brookings Institution e come l’ex ambasciatore americano in India Robert Blackwill concordano nel ritenere che se ci fosse un’altra Mumbai, il primo ministro indiano Narendra Modi non si tirerà indietro dall’utilizzare forze militari in risposta, contrariamente ai suoi predecessori.

L’opinione pubblica indiana richiederebbe una rappresaglia, specialmente in seguito al malvisto grado di autocontrollo esercitato dal governo di Singh dopo gli attacchi di Mumbai. Ma non resta alcun dialogo significativo tra i due stati – l’incontro pianificato lo scorso agosto tra i due consiglieri di sicurezza nazionale è stato cancellato in seguito a dissapori a proposito dei separatisti del Kashmir.

Potrebbe essere poco quello che gli USA e il resto del mondo possono fare per impedire questo conflitto ancora incombente. Ciò nonostante, i tremendi rischi di questa situazione richiedono che i policymaker statunitensi impieghino più tempo ed energie nel provarci e alcuni piccoli provvedimenti potrebbero essere d’aiuto. Gli USA dovrebbero lavorare duramente per catalizzare misure miranti a rafforzare la fiducia tra le due parti, cercando di aprire più canali in tempo di pace per creare un dialogo e delle potenziali opzioni di mediazione per il futuro. Nessuna delle forze armate dei due paesi ha attualmente avuto delle comunicazioni dirette.

Incontri riservati e confidenziali tra gli alti vertici militari contribuirebbero a ridurre le tensioni e a stabilire alcuni livelli di dialogo reciproco e di comprensione prima che scoppi una crisi. Gli USA dovrebbero inoltre sostenere esercizi di simulazione non ufficiali coinvolgendo rappresentanti di entrambe le parti al fine di analizzare quanto sia probabile l’arrivo a una escalation nucleare.

Oltre a ciò, gli Stati Uniti dovrebbero mettersi in contatto con gli attuali (ed ex) decisori civili e militari di entrambe le parti per sviluppare e far crescere relazioni bilaterali che possano rivelarsi essenziali nella prossima crisi. E dovrebbero inoltre continuare incoraggiare il Pakistan a rallentare i suoi schieramenti di armi tattiche nucleari e tenerli sotto stretto controllo centrale ben lontani da posizioni vulnerabili di schieramento avanzato. La mancanza di qualsiasi risultato tangibile dalla recente sensibilizzazione del Pakistan da parte del governo americano su questo argomento finirebbe soltanto con l’incoraggiare nuovi sforzi.

Una guerra nucleare tra India e Pakistan modificherebbe terribilmente il mondo per come lo conosciamo. Il danno derivante da piogge radioattive ed esplosioni, dalle potenziali morti di milioni di persone e dalla devastazione ambientale causata da anche poche detonazioni di armi sovrasterebbe improvvisamente qualsiasi altro problema globale. Non che ci sia una mancanza di conflitti e crisi nel mondo che necessitino dell’attenzione dei policymaker di Washington e delle altre capitali.

Ma il rischio di una guerra tra due delle forze nucleari più ostili del mondo richiede attenzione prima del prossimo inevitabile scoppio. In questo momento, adottare una serie di procedimenti moderati per provare a evitare le conseguenze peggiori di questo pericoloso fenicottero rosa nascosto in bella vista è un investimento che varrebbe la pena di fare.

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